venerdì 4 settembre 2009

ALLA SCUOLA DELL'ALCHIMISTA CHE E' IN ME



INTRODUZIONE


“C’è una nuvola rosa nel cielo, portata dal vento, grazie…”


Abbiamo sperimentato autori e consulenze, tecniche, spiritualità, strategie, tutto è stato utile per accrescere la conoscenza di noi stessi e del mondo. Ma qualcosa manca, sicuramente, perché altrimenti saremmo un po’ più gioiosi, ironici, leggeri. Cosa manca alla nostra rinascita interiore? Al trovarci già, ora, nel mondo sempre sognato, sperato, desiderato?
Dalla fisica quantistica e dalle sue lucenti intuizioni che ci permettono di integrare e superare le dicotomie delle scienze, viene quella breccia, basta un pertugio, un fascio di luce che apre i nostri occhi, quelli dell’anima, a più vasti orizzonti. Tutto collima, tutto velocemente si connette, ogni tessera s’incastra, si precisa in un puzzle tridimensionale e cosmico. Storia e futuro nell’adesso.
Alto e basso, dentro e fuori, tutto coesiste, tutto è sempre stato così come ora è, nell’istante.

Si apre lo schema, siamo fuori, oltre lo schema che per secoli e millenni abbiamo trattenuto e ricreato. Oltre… un nuovo gioco, sempre nuovo, un incanto, una magia, un giro di valzer. Bastava sostare, quietamente, accanto all’Alchimista.
Il nostro Alchimista, quello della nostra anima, che ha saputo accogliere ed integrare tutti i maestri della storia, le scienze, le religioni, le vie iniziatiche.

Perché l’Alchimista? Perché Lui è la chiave?
Perché l’Alchimista ha saputo aspettare che ogni intelligenza ed ogni cuore arrivasse, dalla sua grande libertà ed autonomia, alla sua porta, la porta del proprio cuore.
Perché l’Alchimista s’è spostato dal pensare al… sentire.
In noi è l’Alchimista, in ciascuno di noi.
Egli è la chiave, l’archetipo che apre la materia alla sua vibrazione, la terra al cielo, l’anima al corpo.

Si tratta di seguire il percorso che l’Alchimista ha fatto dentro di sé, ripercorrerlo, sapendo che è dentro noi stessi che stiamo andando, in noi stessi Egli ci conduce.
Perché le tante tecniche e strategie sperimentate non hanno sortito un risultato efficace e definitivo?
Perché, sapendo cos’è il benessere, non lo raggiungiamo?
Perché non sappiamo di essere ancora fermi e intrappolati nei “pensieri trasparenti”, da essi ancora creiamo la nostra realtà, pur volendola diversa e migliore.
Ecco l’ambito dell’Alchimista, condurci in ciò che non sappiamo di essere… e invece siamo, e giungere a sciogliere quei pensieri su cui ancora siamo fermi.

Un percorso sottile, quantico, alla radice del pensare, dentro le dinamiche del sentire-pensare. Passare dal pensiero per causa-effetto al pensiero magico , perché solo ampliando la modalità del pensiero possiamo aprirci all’infinito che siamo, alla nostra da sempre presente ad attiva cosmicità, là dove sta il nostro benessere.
Stare sul sentire e da qui percorrere il pensiero, percorrere il pensare rendendoci consapevoli di come pensiamo e rielaboriamo il sentire. Attraversare le emozioni e i pensieri del quotidiano, dei nostri vissuti. Sperimentare che siamo unità, fusione di sentire-pensare, che il sentire è molto più vasto, sottile, conduttore di dimensioni un cui viviamo anche se ancora non ne siamo consapevoli.
Questa è la strada per ampliare la coscienza di sé e della realtà.
Giunti alla consapevolezza è la nostra anima, il nostro Sé, quello Uno con il Tutto, che facilmente trova le vie di risoluzione e immette sensazioni nuove, risposte nuove e soluzioni, ovvero “pensieri nuovi”.

“L’Alchimista è la chiave per cogliere l’UNO che sono, mentre sono qui in questo, questo nome e questo corpo, che sono”. UNO e uno.
Quale la chiave? Quale l’Archetipo per viversi l’essere Tutto e l’essere uno?

La Consapevolezza del sentire, chiave che si è svelata pian piano nel quotidiano.


NELL’OGGI SI APRE L’ETERNO, E L’ORIENTE AFFERRATO DIVINIZZA L’ISTANTE.

Come raggiungere, come diventare, essere consapevolezza nel sentire?
Attraversando, mentre da essi ci lasciamo attraversare, i nostri sentimenti, le emozioni, lasciandoci risuonare nella loro vibrazione.
Conoscendoci e accogliendoci profondamente nei nostri sentimenti, la trasformazione del nostro essere diventa concretezza. I sentimenti vanno trattati nella loro espansione, nella loro reale vibrazione, non possiamo nasconderli, rimuoverli o trasformarli. Vanno lasciati vibrare nella loro essenza perché, in quanto tali, rivelano la loro matrice che crea mutamento, crea cambiamento nella materia.
In questo percorso c’è il livello del sentire e quello dell’ascoltare. “Sentire” è essere uno con l’emozione che ci sta attraversando nella sua vibrazione, è il primo momento in cui, lasciato finalmente il controllo dell’io, nonostante il pensare, accettiamo di essere ciò che siamo in questa esperienza del corpo. Successivamente, quando, non dall’io ma dal sé incondizionato ci spostiamo dalla corrente della vibrazione… alla sponda e “ascoltiamo” ciò che in noi sta passando, solo ascolto, solo osservare, come colui che sta sulla riva del fiume e vede l’acqua, ne avverte la forza ma, mentre ancora è acqua e forza, anche ne è fuori.
E ci conosciamo, avvertiamo le nostre potenze, la nostra essenziale e profonda natura: siamo i creatori di noi stessi e del nostro mondo, di tutti i mondi.
Siamo a questa tappa, ora, come usare la forza che sento in me?

Giunti alla sua porta bussiamo, pian piano ma decisamente. Qui volevamo arrivare e Lui, l’Alchimista, da sempre ci aspetta. Ora con Lui lasceremo calare la luna ascoltando le sue parole; scruteremo il primo rosastro albeggiare, camminando, con il suo raccontare che ci conduce dentro al nostro cuore. E ci conosceremo, con l’intelligenza e l’amorevolezza che Egli ci insegna; ci inoltreremo in passeggiate, escursioni, esplorazioni dell’anima seguendo il Maestro, il Maestro interiore, dentro storie, racconti, metafore, personaggi: sogni, fantasie, verità criptate.

Ciascuno lo dica a se stesso: “Sono qui, queste sono le settimane alla Scuola dell’Alchimista del cuore, del mio cuore. E… sento… mi sento nel mio stesso sentire… sento emozioni… parlare di me … ascolto…” e si apre l’istante… l’Uno.

Così stamattina scruto dentro al mio cuore e vedo il luogo dell’insegnamento e della cura. Un giardino circolare, chiuso da alti cespugli verdi. Il muretto delimita il cerchio interno del pavimento di pietra. Qui il tempo si espande, si comprime secondo il battito del mio cuore.
Percorro con l’Alchimista gli eventi della mia esistenza, quella della mia anima che conosce molte vite, scorre veloce il cursore della memoria quando i ricordi già sono sereni si ferma, s’inceppa, staziona, torna indietro, prosegue, indugia, arranca quando s’inoltra tra emozioni e sentimenti ancora criptati. Vorrei chiamare “dolore” la vibrazione che avverto…

Qui trovo l’Alchimista, nell’attimo in cui non vorrei ritornare, Egli si fa Medico, Medicina, Alimento e posso, finalmente, inabissarmi nella ferita e abitarla, per lasciar libera l’emozione e coglierne la forza che da sempre aspetta che io la senta e l’accolga. Qui ancora lo trovo quando l’evento mi fa decollare, mi mette le ali e io m’avventuro, finalmente decisa a godermi la vita.
Qui, al centro di ogni persona, cosa, evento che ho vissuto col cuore, sta l’Alchimista. Lo ascolto, l’esistenza si apre a un profondo sentire e, da essa, una luce diffusa, da sempre presente, schiude il sapere.
Questo è “l’Alchimista”: il mio Cuore, libero, vivo e pulsante, Uno tra l’universo e la quasi impercettibile pagliuzza dorata che sono.

Intelligenza esistenziale… cogliere, finalmente, la connessione al Tutto di ogni nostro sentire, agire, di ogni pensiero e desiderio. Tutto e ogni cosa si fa esperienza, ha un senso in me. Ogni persona, cosa, evento della nostra esistenza diventa carne e luce.










INTELLIGENZA ESISTENZIALE I° PARTE

1° SETTIMANA - COME RICONOSCERE LE STRATEGIE E LE CHIAVI CHE SONO IN ME PER CONOSCERE ME STESSA

Obiettivo: Comprendere qual è la funzione dei sentimenti e delle emozioni

a) L’intelligenza esistenziale si attiva in noi
L’intelligenza esistenziale ci induce a riflettere sui grandi temi: sul significato della vita e della morte, sulle esperienze più profonde dell’umanità, sul destino ultimo del mondo ma qui, per noi, ora essa è innanzitutto capacità di osservarsi, di guardarsi dentro e riconoscersi nei mille ed uno personaggi che ogni giorno mettiamo in scena nel nostro teatrino della vita.
È, ancora, desiderio di condivisione, di confronto, di esplicitare se stessi così, per quello che si è, raggiunta questa libertà estrema, questa sovranità su se stessi e sul mondo di poter dire di sé il bello e il non bello, ciò che è scomodo, difficile da accettare anche da noi, insieme alla nostra gioia di vivere, di ridere, di ricominciare ogni giorno.
È capacità di ritrovare ritmi più umani, ridare più spazio al dialogo, più tempo all’amore, all’amicizia, insomma ai valori dell’essere in contrapposizione a quelli dell’avere o dell’apparire.

Lasciarci prendere dal gioco della vita che ogni giorno inventiamo grazie alle infinite energie, risorse, fantasie che, dal nostro pozzo profondo e senza limiti, sta solo spingendo per esplodere, uscire e darsi al mondo.
L’intelligenza esistenziale è una delle intelligenze ultimamente ipotizzate e studiate da Howard Gardner all’interno delle intelligenze multiple. Gardner parla di “intelligenze multiple” presenti in tutte le culture, che indicano lo sviluppo di competenze all’interno di sistemi simbolici propri delle varie aree culturali. Tutti gli individui possiedono l’intera gamma delle intelligenze, anche se con gradi e in associazioni diverse. È la combinazione modulare delle intelligenze a determinare la singola personalità. Inoltre nel modello Gardner entrano, con pari dignità delle altre, le intelligenze personali: sia quella intrapersonale, che consente di conoscere e dominare emozioni e, comunque, gli stati interiori, sia quella interpersonale che permette di instaurare rapporti con le altre persone. È un passo ulteriore in avanti, non ultimo, nella comprensione della persona, verso quella visione olistica dell’uomo e dell’esistenza che ci avvicina alla consapevolezza della nostra dimensione cosmica.

L’INTELLIGENZA ESISTENZIALE è la sguardo posato su se stessi, innanzitutto il contatto sempre aperto e attento al proprio mondo interiore e, simultaneamente, l’osservazione e l’ascolto di ciò che dall’esterno ci giunge. Il proprio mondo interiore ha la precedenza. Siamo stati educati a saperci, sempre, in relazione al mondo, all’esterno di noi, poco ci è stato insegnato del nostro appartenere a noi stessi.
Io e me stessa, io e il mio nome, io e ciò che, dall’anima innanzitutto, emerge e mi viene detto, insegnato, chiesto, indicato.
Ma Dio che ha fatto, dagli albori del mondo? Che fa Dio continuamente?
Sta con se stesso, si connette con quel qualcosa che avverte essere “se stesso” là, in quella parte di sé che non è l’esterno a sé, ma è il “sé”. Egli avverte che là è la forza più grande, là è l’attrazione più intensa, quella per cui vale la pena lasciare tutto.
L’unica istanza che si può scegliere: se stessi.

Dio non dice: “Credo nel mondo”, ma dice: “Credo in ciò che avverto, sento, sta qui dentro. In me”.
Solo così può agire un creatore, uno che non ha niente altro, fuori e attorno a se stesso, se Egli non se lo crea. Egli che non può attingere da nessuno, non può prendere da nessuno, che non incontra niente e nessuno fuori di sé se non quello che da sé può trarre, perché altro non c’é.
Questa è la condizione di creatore. A questa bisogna arrivare per rendersi conto che fuori di noi stessi non c’è Dio, non c’è creatura che può affiancarci, né può rispondere a ciò che siamo e a ciò che vogliamo. Innanzitutto, nessuno può darci spiegazione, nessuno può darci visioni del mondo, schemi di pensiero se non li troviamo in noi. Perché niente c’è, di fatto, fuori di ciascuno di noi, di questa Anima che siamo con questo corpo, questa psiche, questo pezzo di storia umana che ci siamo creati nel momento in cui abbiamo deciso di darci un corpo e un’intelligenza e di venire qui, in questa Terra a condividere la condizione di chi ha voluto scegliere, ciascuno per motivi suoi, questa stessa condizione.
A questo porta l’intelligenza esistenziale, a questa origine che siamo in noi stessi e solo in questa origine incontro il fuori di me, che è, al contempo, il Tutto e tante, infinite Anime.

Ascolto, dal mio Alchimista: “Risalita alla Fonte, annullamento di tutte le immagini, dei significati, smascheramento dell’illusione di ciò che credo essere il reale.
Perché ciò che è esterno a me non è il reale, è semplicemente il mondo delle immagini, delle “cose”, dei personaggi che ogni giorno creo e metto in scena per trafficare me stessa e sapere chi sono.
È il mondo dell’illusione che mi serve, sì mi serve, così com’è importante che io creda che esso è vero per il tempo che con esso devo misurarmi, per il tempo che mi è necessario per esplicitare me stessa, lasciar emergere quest’Anima magnifica che sono e che ha voluto, ancora non so perché, inabissarsi quaggiù, criptarsi, sigillarsi attraverso chiavi e simboli, incastrando me stessa in enigmi, in giochi alchemici che, ancora con fatica riesco a sciogliere.
Ma quando, mettendo le mani in pasta col mondo mi gioco fino in fondo, tutta me stessa, a volte quasi oltre me stessa, ecco che la raggiungo la chiave, la tocco, ecco che mi si apre tra le mani quell’archetipo in cui io stessa, da un altro livello di me, mi sono fissata.

Quando so questo allora la vedo l’illusione, innanzitutto il mio essere illusione a me stessa, ogni volta che sto qui a preoccuparmi di me; chi è questa “me” al livello della realtà visibile e toccabile? Un po’ di materia oggi organizzato così, domani, non si sa. Un grumo di emozioni, vibrazioni che mi attraversano. Chi sono al livello del mio mentale? Un fascio di energie strutturate in pensieri, oggi codificati così, domani, chi lo sa? E, ora comprendo… che importanza ha? Che importanza ho a questo livello del mio essere ed esistere?
Nessuna e tanta; scarsa, insieme a fondamentale ed infinita.
Sì, contestualmente parlando sono niente, oggi ci sono domani forse no ma, nello stesso tempo, nel mio essere Anima, Una col Tutto, Creatrice di me stessa, mi sono data questo spazio e tempo per essere e manifestare innanzitutto a me stessa e, insieme a me stessa al Tutto che sono e cui appartengo, il mio ESSERE. Perciò è fondamentale, è unico, è sacro, è insostituibile ogni momento della mia esistenza, perché è la mia Anima, è il mio essere Dio che ora, qui si sta manifestando ed esprimendo.

Così il Tutto e ogni Anima nel Tutto.

Allora è nell’attimo, nell’istante che mi gioco l’Anima. È l’istante che è terra e cielo, tempo ed eternità, materia e polvere di stelle. Amore di sé e amore per qualunque esistenza.
Quando, viste tutte le illusioni che ogni giorno metto in scena per darmi vita e senso, torno a me stessa, sapendo che è all’Anima del mondo che mi affido, inabissata quaggiù, nella donna che sono.
CREARE… quando approderò a questo mio naturale modo di essere?
Dio non risponde alla realtà già esistente, attorno a sé ha il vuoto.
Dio inventa la sua realtà, la crea, la definisce e la decide, la crede”.

INTELLIGENZA ESISTENZIALE II° PARTE



Ecco l’intelligenza esistenziale: ogni attimo è vero, unico e divino. Questa è la vita, questa, che stiamo vivendo è la reale esistenza e tutto il suo senso.
Questo, dalla pienezza e dallo svelarsi di tutti i livelli dell’esistenza nel singolo e nel Tutto, possiamo cogliere e godere.

L’esistenza ha molto di velato.
Lasciar emergere il non detto, il trattenuto, il resistito.
A volte ci sentiamo un’isola e, pur sapendo che non è tutto ciò che sappiamo di noi, definiamo, proteggiamo, difendiamo quest’identità.
Poi il non conosciuto attrae, il buio interiore si anima, ci destabilizza, ci porta ad intuire che in noi c’é molto di sconosciuto, innanzitutto a noi stessi.
Ed è l’irrequietezza, il disagio interiore, la noia a farci mettere i piedi in acqua o a farci salpare, oltre l’isola, sulle acque della vita.
L’incontro con gli Altri, l’Altro: attrazioni, scaramucce, tensioni, gioie e conflitti… giochi.
Nuotare, ampie bracciate, annaspare, inoltrarsi lontano nell’azzurro, la costa che s’allontana.
Tornare, re-incontrare, ricominciare, ritentare, fare, lasciar fare, ritrovarsi in se stessi, nell’altro, perdersi.
In questo turbinare di relazioni, la Vita che viene, ci attraversa, ci usa e si dà; dandosi consistenza e senso attraverso noi.
Vissuti, emozioni, sentimenti di cui essere consapevoli o da cui restare travolti.

Il Mare, questo mare della Vita, che abbraccia l’isola, l’accarezza, amoreggia con la sua isola, a volte l’inonda.
Noi stessi: aggressivi, padroni, potenti, scoperti, indifesi, fragili, luminosi, soli. Vivi.
Cominciare a sapere che non si è solo isola, ma mare, ora terra ora acqua, ora asciutto, ora incompiuto ancora diluito nel Tutto.
Le nostre acque in cui lasciarci andare così che siano esse, le acque della Vita, a far emergere le Parti di noi e del Mondo che attraversiamo, in cui ci ri-conosciamo.

I Sentimenti, considerati scomodi, negativi, quando non giudicati sbagliati, sconvenienti, brutti e irrazionali. Il meglio di noi, le nostre energie più forti e feconde, intelligenti e sane quando finalmente decidiamo di accogliere la psiche animale che siamo.
Poi la presa di coscienza dell’insieme di queste forze e l’ascensione, lenta all’inizio poi sempre più avvincente, verso sentimenti di gioia, positività, benessere. Una corsa a riconoscere, accanto alla nostra parte oscura, ma non per questo meno bella e buona, la nostra parte solare, da sempre presente, solo lasciata in ombra dal nostro pensiero in passato troppo abituato a guardare e pensare la vita dalla parte del dolore e della fatica.

Fino a ieri vivevo così, come mi racconto in queste pagine, oggi…

… “Voglio vivermi come gioia, perché nel mio sentire c’è il progetto che mi sono data e, da oggi, voglio mettere in scena solo copioni di leggerezza ed ironia.
Ho concluso anche la fase dell’affrancare me stessa dai vecchi copioni, da situazioni che mi andavo a creare per rivivermi e risolvere positivamente le stesse, scomode e sofferte emozioni.
Ora so che l’unica missione della vita che ho è quella verso me stessa: innanzitutto di stare bene e godermela, poi quando mi va, di consapevolizzare me stessa, ri-creandomi ad ogni passo, sintonizzandomi sempre sul volere del mio cuore e sul mio pensiero più alto ed evolutivo.
Qui, incontro sempre nuovi compagni di viaggio”.


b) Come ascoltare i miei sentimenti

I Grandi Sentimenti sono le grandi forze di ciò che chiamiamo “divino” in noi e che siamo noi: gelosia appartenenza possesso idolatria onnipotenza impermanenza odio rabbia senso di colpa… insieme a ciò che abbiamo già redento: apprezzamento speranza accoglienza ascolto condivisione compassione fiducia apprezzamento …

“C’è un’unica specie di Amore, ma ce ne sono infinite copie diverse, esso non dura se togli la lotta. L’Amore che economizza non è mai vero amore”.

Mi osservo e dico a me stessa:
“Rivolgiti a questa energia: gelosia… accoglila, seguila, ascoltala…”.
La riconosco: “È mia”.
Mi dico: “Ascoltala, ascoltala, lasciala essere”.
E poi: “Seguila, seguila, seguila”.

Ancora: “Rivolgiti a questa energia: invidia… riconoscila, vivila, seguila”.
“È mia”. “Accoglila accoglila accoglila… respirala”.

“Rivolgiti a questa energia: possesso… ascoltala, accoglila, respirala, lasciala respirare in te, sentila come te… poi come altro da te, altro di te”.

“Volgiti a questa energia: vendetta”. “È mia”.

Rabbia rabbia RRRRRabbia
“È mia… Sono io… Si, sono io… Sono altro”.

Accogli, nomina i tuoi animali interiori, le tue energie di creatura e di creazione più profonde e forti.
Antri abissi valli vette colline mari e acque profonde in cui non mi conoscevo, che non sapevo di abitare. Venti aliti sospiri sussurri tempeste spinte corse entropie esplosioni silenzi, silenzi vuoti, vuoti, vuoti sordi… io, o meglio energie che mi attraversano, in cui mi riconosco viva.
Dai asilo e dai il nome alle tue energie, il loro nome, senza spiegare, senza aggiungere altro, lasciale pure così come sono nate in te. Solo “senti” - “ascolta” mentre dalla loro forza sei attraversata.



SEGRETO n. 1: Contattare e osservare l’energia racchiusa nei sentimenti e nelle emozioni ci permette di sentire chi siamo e cominciare ad usare le grandi potenzialità che sono in noi.


IDOLATRIA



2° SETTIMANA - COME INTEGRARE I MIEI SENTIMENTI

Obiettivo: Rendersi conto che tutti i sentimenti hanno una funzione, anche quelli che giudichiamo “negativi”.

IDOLATRIA

Risuonano le nostre voci nelle vastità delle sale dei nostri templi e palazzi.
L’eco ci ritorna la vastità dei nostri pensieri di pietra: illusorie identità cui abbiamo votato l’anima e consacrato il sangue.

Ci serviva solo una tenda.

Era sufficiente prendersi cura della Tenda che siamo…
al resto, a farci gioire avrebbe provveduto la Vita.
Perché tanta dolorosa superba fatica più grande di noi?
Perché abbiamo caricato le spalle dell’Uomo di tanta “divina” Illusione?

Preoccuparmi e rivolgermi a lei, all’Altra Coscienza, uomo o donna che sia, tentando di fare qualcosa per il suo benessere è il tentativo di affrancarmi, il modo che mi sono data per uscire, far uscire qualcosa da me per togliermi, in qualche modo, dalle mie prigioni.
Vorrei sentirmi un “salvatore” ma non sto dando niente all’Altra Coscienza, lei solo riesce ad essere questo catalizzatore così intenso da farmi, forse, finalmente, tirar fuori un filo, un possibile, un qualcosa di me che mi sposti da me stessa, da questa rigidità, da questa tomba interiore.

Fare di me stessa un Dio, fare di una persona, cosa, idea, un Dio. In fondo, la stessa cosa perché è sempre da me che parte l’intenzione, la scelta, per essermi colta o per aver colto qualcuno o qualcosa come evento fondante e definitivamente significante per la mia esistenza.

Sento… ascolto la forza… avverto una grande vicinanza a me stessa, incondizionata.
Qualcosa di palpabile, forte, intenso, mi tiene stretta a me, mi vuole sul trono di me stessa e si pone fuori da ogni confronto.

Idolatria: grande forza vitale da lasciar essere, riconoscere onorare e ringraziare.

QUESTA FORZA È IL FISSANTE CHE SALVAGUARDA L’INCOLUMITÀ DELLA MIA IDENTITÀ NELLE SITUAZIONI AL LIMITE DELLA SOPRAVVIVENZA.









GELOSIA



“e nessuno la toglierà dalle mie mani…”, la stretta mortale.
Mie sono le mani che mi stringono, tento di togliermi il respiro.
Soffocata da me stessa, dalla Grande Paura diventata madre e padre della mia esistenza dell’agire e del futuro.

Come il primogenito geloso del fratello: perché lo ama, si ama troppo in lui.
Come l’uomo geloso della sua donna: perché in lei ha visto la sua potenza.
Come la donna gelosa del suo maschio: perché quel seme non deve avere altri ventri da nutrire e fecondare.
Come ogni esistenza che continua a fare di qualcosa o qualcuno, fuori di sé, il senso del suo esistere.



Gelosia: grande forza tra le mie mani… la tocco, la circoscrivo, la sento, la palleggio, la metto nel mio cuore.
Così com’è la metto nel mio cuore.
Così come sono mi metto nel mio cuore.

Come d’incanto ecco i pascoli, i prati verdi, le distese fiorite e profumate degli alpeggi.
“Conquistare le vette, dimorare sulle vette”.
Lasciar andare chiunque: madre, padre, ogni fratello, sorella, amante, uomo, donna, figlio… Dio.
Lasciar andare ogni esistenza a rinverdire i propri universi.

A me basta il mio prato fiorito e profumato.

LA GELOSIA È AMORE PER SE STESSI.

Primo unico amore: “e nessuno mi toglierà dalle mie mani” questa attrazione fortissima va indirizzata a se stessi prima che verso l’altro da sé.
Solo quando ci si è accolti, amati incondizionatamente, ci si lascia andare. Si lascia andare chiunque, si possono sciogliere aderenze, modi di essere che sono stati utili e ora, non più necessari, potrebbero diventare gabbie.
Solo quando ho vissuto in me i passaggi dell’adesione totale a me stessa, della comprensione per me stessa posso distinguere, la cosa di cui mi sono nutrita, da me stessa, posso lasciar andare e muovermi verso altro, così cresco e non creo dipendenze.

Oggi lo tocco questo piccolo cunicolo, questo pertugio che sembrava nascosto e segreto invece è stato sempre tutto aperto. La connessione prima, l’amore più forte, quello tra l’Anima, questa psiche e questo corpo; l’io umano e l’io divino che si riconoscono Uno. Il cono di luce attivo tra me e la mia stella. La strada sempre aperta attraverso cui tutti i beni dell’universo mi vengono incontro.








INVIDIA



Perciò è così forte, profondo
e aderente a me:
perché io, in Akenathon, voglio me.
Voglio Lui complementare a me
che mi ritorni me.
Il mio grande io vuole, non Akenathon
ma essere lui, in Akenathon.



*** ***


Ho conosciuto la Grande Separazione
perciò ora canto, rido, gioco…
Ho imparato a dimorare con il Vuoto,
ad attendere,
oltre ogni ragionevole attesa,
fare tardi con il Vuoto

gusto, ora
la terra, le acque, il Cielo:
Signoria di ciò che sembrava vuoto.



Quanto è grande il mondo! Plano sulla vastità del mio desiderio che vedo incarnato così efficacemente e sapientemente nelle vite degli altri.
Mi rode dentro, uh! Quanto li sento bene e chiari questo rotolio e sordo mormorio delle mie viscere che, nonostante io tenti di controllarne il ragionare, dilagano, inondano, allagano tutto il mio sentire e tutto il mio essere. Mi sento un tutt’uno con ciò che vedo davanti a me, e non è mio: il suo uomo, la sua donna, i suoi soldi, la sua casa, il suo sorriso, la sua sfacciata fortuna e il mio giorno, così triste, così povero e infelice, così sfortunato.
Lei sì e io no, gli altri sì e io no.
Eppure, io sono meglio di loro, saprei usarle meglio quelle cose, amarle di più quelle persone.
C’è un legame forte tra me e la persona che è dell’altro, tra me e la cosa che non è mia.
Quasi l’altro, colui che sta godendo della relazione e del mondo, mi intralciano, sono un ostacolo al mio arrivare all’obiettivo, sì perché l’altro è arrivato sulla meta che poteva essere mia, era sicuramente mia!
Tutto andrebbe bene a me, tutto ciò che vedo non mio, starebbe benissimo nel mio mondo!

Questo sento, questo sono ora, insieme alla resistenza che avverto in me perché no, non è possibile essere così invidiosi! Non voglio essere “invidia”!
La lotta, tra me e me stessa: contesa tra un sentire forte che vuole dire, che pesta i piedi, che prepotentemente occupa la mia testa e il dover essere perché: “Non mi si addice questa prepotenza!”.
La lotta in me, la separazione.

Qualcosa, in tutta questa tensione, si sposta, si stacca dal sentire e riesce ad osservarlo. Quanto turbinare tra i miei pensieri e quanto essi stuzzicano, alimentano il pentolone delle mie forze interiori. Comincio a dirmi: “Io non sono più ciò che dovrei essere: non sono mia madre, non sono la mia maestra, né il mio prete o chi mi diceva che volere ciò che l’altro ha, è sconveniente” e l’invidia insiste, s’insedia in me, mi ha vinta. Così la prepotenza, così la rabbia nel vedere come e quanto l’altro si sta legittimamente godendo ciò che ha costruito, di più, ciò che gli è stato regalato.
Osservo: quanto è grande il mio volere!

Comincio a leggere qualcosa… quante sono le cose che mi piacciono! Come sono esigente, raffinata, nel mio volere!

L’INVIDIA CHE PROVO PER LE PERSONE MI STA DANDO LA MISURA DELLA MIA VASTITÀ, DELLA MIA GRANDEZZA.

Tutte le cose belle mi attirano, tutti gli amori felici m’innamorano.
Quanto è grande il mio spazio interiore!
E, mentre vedo il vuoto, perché colgo il mio non vivermi, lo vedo illuminarsi di chiavi, di criteri di scelta, di caratteristiche con le quali, mi rendo conto, scelgo e godo, io, le persone e le cose. Mi avverto più vicina e presente a me stessa in questo lavoro interiore di confronto, discriminazione e scelta, che la parte di me più profonda e mia, sta continuamente attivando.

No, ciò che è dell’Altro non è mio, né è in relazione a me perché, effettivamente, non m’interessa, non è lui, lei o quella cosa che voglio.
Anzi, proprio non voglio.
Adesso mi basta sapere che ho, ben attivi, dei catalizzatori potentissimi e la mia potenza la riconosco ora nell’intensità delle forze che m’hanno attraversato.
Io non sono ciò che l’altro mi può dare, né ciò che una cosa può arricchire di me, sono queste forze, viste nella loro nudità e nella loro efficacia.
Esse si danno a me da una gratuità che le fa esistenti e che, sento, mi abita.
Mi posso nutrire di queste forze e mi pacifico, il resto, ciò che è buono per me, verrà.





APPARTENENZA



Qualcosa rischiava di farmi perdere me stessa un’altra volta.
Qualcosa mi stava, ancora, un’altra volta, portando via da me stessa.
Qualcosa di insidioso, di pericoloso, qualcosa legittimato a sacro, indiscutibile, irresolubile, ineluttabile.
Mi stavo perdendo, stavolta forse, irrimediabilmente.
Perché avevo detto all’altro: “Prenditi cura di me, della mia anima”.
“No, Nessuno la toglierà dalle mie mani”… perché “Io Sono un Dio geloso”.
È mia, la mia Anima, solo di me.
Solo in me posso sentire e sapere Chi sono e cosa vuole la mia Anima.
L’avverto ora che il pericolo è evitato, è fuori di me e lo vedo, quella sarebbe stata l’irrimediabilità della perdita.

Questa È, nell’Uomo, l’in-creazione, niente è mai perduto, ciò che non diventa concretezza non esiste. In ciò che colgo come allontanamento e perdita c’è la presenza di un qualcosa di più grande e vasto, corrispondente a me stessa che si sta preparando.

Semplicemente, la morte non accade.
“Cose più grandi di me farete se soltanto crederete di poterle fare”…
… “non cose più grandi di Te, Signore, mi basta un cuore nuovo”.

Questo ho messo in dubbio.
Ho rischiato di perdere la fede in me stessa, l’evidenza e il riconoscimento del mio stesso esistere, seppur così diverso da quanto ho intorno.

Da qui l’audacia del viversi così, come si è, per quanto e quello che si È.

“Sono questa appartenenza” non come mentale, ma come cuore.
Accettare questo dolore sotterraneo, sottile, insidioso, sempre presente perché ciò che desidero è lontano dalle mie mani.
Accettare questa evidenza: il cuore sta cercando… un toccare!
Ogni volta che m’aspetto qualcosa dall’altro e so che la risposta viene solo da me stessa, qualsiasi cosa. Anche l’ascolto, la condivisione, il nutrimento, la passione, la compagnia, la cura, la fedeltà, l’esclusività, anche una situazione aderente a me o della quale ho bisogno: vanno ricreati dentro me attingendo a questo grande Vuoto/Pieno che sono e che sento.
Qualsiasi cosa va, innanzitutto, risolta, riempita tra me e me stessa. Quando starò bene con me stessa, per tutto quanto io sono, la situazione sarà bene anche fuori di me.
Anche la morte: non c’è la perdita di una persona, c’è il viversi già in un’altra modalità di relazione.

C. Tonarelli: “Per scoprire la verità e sconfiggere la paura, l’insicurezza nell’ascoltare il proprio io interiore, è necessario il silenzio; non si può sentire la voce interiore se si è occupati a parlare”.
Appartenenza… dirmelo: “Noi due ora, comunque, ci apparteniamo”. Dirlo a me stessa che l’altro… lo sento e lo penso talmente tanto che sicuramente mi appartiene e questa consapevolezza sbaraglia tutte le mie paure e la necessità di verificarne all’esterno la presenza. Così per le situazioni, per ciò che voglio dalla vita.
L’appartenenza permessa, riconosciuta, accolta finalmente, permette il lasciar andare mentre mi permette di prendere e vivere le situazioni che si presentano con serenità.
Solo quando l’ho posseduta una cosa o una persona e mi sono posseduta in lei, posso lasciarla andare e lasciarmi andare oltre lei.
Perché è un lasciar andare in situazione, contestualizzato, esperito, ove io sono, comunque sono, come “cuore”.
Bisogna prendere le cose, sentirle proprie.
Le cose, ossia: se stessi, persone, situazioni, sentimenti.
“Sono qui per me, solo per me”.
“Sei qui per me, solo per me”.
Volerselo questo grande incondizionato bene da sentire il mondo dedicato a sé.
Perché le energie stanno nelle cose.
Bisogna avere il coraggio, che in fondo è la semplice evidenza, di chiamare le cose con il loro nome e riconoscere che si vuole quella e solo quella cosa.
Essere bambini.
Autenticità.
Permetterseli tutti, dentro se stessi, i propri desideri, sentimenti e pensieri.
Uscire dalle rimozioni, dalle alienazioni, dalle involuzioni, dalle pseudo-perfezioni.

LA PRIMA APPARTENENZA DA RICONOSCERE È L’APPARTENENZA A SE STESSI.

Me stessa è: me, il fuori di me e il mondo attorno a me ma li sento miei, appartenenti, quando li ri-conduco in me.
Solo se prima sento e riconosco una Parte di me, innanzitutto come emozione, desiderio, tensione e decido di concedermela, regalarmela, darla a me stessa, prenderla da me stessa (nel mio mondo interiore) allora la trovo fuori di me e, quel qualcosa/qualcuno cui corrisponde, mi permette di compiere l’integrazione a me stessa.
Facendo entrare qualcosa/qualcuno nel mio mondo interiore non faccio altro che dare una cosa di me a me stessa, qualcosa/qualcuno che ho fatto precedentemente germogliare in me.

Il primo universo che incontro fuori di me, sono io, innanzitutto il mio corpo fisico, i miei corpi, le mie intelligenze, i miei modi di essere e di amare (di tutto questo spesso non si è consapevoli). Poi incontro me stessa, a specchio, in modi di essere affini, complementari o corrispondenti ai miei. In più incontro diversità scomode, ciò che mi sembra di non essere, atteggiamenti in cui non mi riconosco. Come mai interagiscono con me? Mi disturbano e m’infastidiscono, mi sembrano nemici. Perché mi stanno di fronte? Cosa sono queste interazioni oltre la realtà illusoria dell’essere conflittuali?... forse parti di me che non vedo o non voglio vedere, ma sono.
Appartenenza…
Ancora, alcuni specchi che ho davanti sono stata, ma non voglio più essere così, ora mi posso distinguere: “Non sono…”.
Ancora incontro altri, diversi da me: le sorprese, le imprevedibilità, le novità, le diversità, ciò che non sono, che non sento o non so, mi manca, cerco, aspetto, che viene… che non viene ancora.

Ora comincio a distinguere: appartengo al Tutto, non tutto m’appartiene, non tutti mi sono affini o voglio sul mio cammino.
Lascio andare. Altri li accolgo e confermo.
Attorno a me mille universi, paralleli, tangenti, secanti, danzano.
Spesso interagiamo.
Giochiamo.

Ci sono livelli di amore per se stessi che sono irrinunciabili e che sbaragliano tutti i falsi amori per gli altri.
Sono quelli che cambiano il mondo, innanzitutto il mio mondo.
Fuori da tutte le paure, e gli scrupoli di far soffrire gli altri sono falsi, con essi siamo maschera.