venerdì 4 settembre 2009

ALLA SCUOLA DELL'ALCHIMISTA CHE E' IN ME



INTRODUZIONE


“C’è una nuvola rosa nel cielo, portata dal vento, grazie…”


Abbiamo sperimentato autori e consulenze, tecniche, spiritualità, strategie, tutto è stato utile per accrescere la conoscenza di noi stessi e del mondo. Ma qualcosa manca, sicuramente, perché altrimenti saremmo un po’ più gioiosi, ironici, leggeri. Cosa manca alla nostra rinascita interiore? Al trovarci già, ora, nel mondo sempre sognato, sperato, desiderato?
Dalla fisica quantistica e dalle sue lucenti intuizioni che ci permettono di integrare e superare le dicotomie delle scienze, viene quella breccia, basta un pertugio, un fascio di luce che apre i nostri occhi, quelli dell’anima, a più vasti orizzonti. Tutto collima, tutto velocemente si connette, ogni tessera s’incastra, si precisa in un puzzle tridimensionale e cosmico. Storia e futuro nell’adesso.
Alto e basso, dentro e fuori, tutto coesiste, tutto è sempre stato così come ora è, nell’istante.

Si apre lo schema, siamo fuori, oltre lo schema che per secoli e millenni abbiamo trattenuto e ricreato. Oltre… un nuovo gioco, sempre nuovo, un incanto, una magia, un giro di valzer. Bastava sostare, quietamente, accanto all’Alchimista.
Il nostro Alchimista, quello della nostra anima, che ha saputo accogliere ed integrare tutti i maestri della storia, le scienze, le religioni, le vie iniziatiche.

Perché l’Alchimista? Perché Lui è la chiave?
Perché l’Alchimista ha saputo aspettare che ogni intelligenza ed ogni cuore arrivasse, dalla sua grande libertà ed autonomia, alla sua porta, la porta del proprio cuore.
Perché l’Alchimista s’è spostato dal pensare al… sentire.
In noi è l’Alchimista, in ciascuno di noi.
Egli è la chiave, l’archetipo che apre la materia alla sua vibrazione, la terra al cielo, l’anima al corpo.

Si tratta di seguire il percorso che l’Alchimista ha fatto dentro di sé, ripercorrerlo, sapendo che è dentro noi stessi che stiamo andando, in noi stessi Egli ci conduce.
Perché le tante tecniche e strategie sperimentate non hanno sortito un risultato efficace e definitivo?
Perché, sapendo cos’è il benessere, non lo raggiungiamo?
Perché non sappiamo di essere ancora fermi e intrappolati nei “pensieri trasparenti”, da essi ancora creiamo la nostra realtà, pur volendola diversa e migliore.
Ecco l’ambito dell’Alchimista, condurci in ciò che non sappiamo di essere… e invece siamo, e giungere a sciogliere quei pensieri su cui ancora siamo fermi.

Un percorso sottile, quantico, alla radice del pensare, dentro le dinamiche del sentire-pensare. Passare dal pensiero per causa-effetto al pensiero magico , perché solo ampliando la modalità del pensiero possiamo aprirci all’infinito che siamo, alla nostra da sempre presente ad attiva cosmicità, là dove sta il nostro benessere.
Stare sul sentire e da qui percorrere il pensiero, percorrere il pensare rendendoci consapevoli di come pensiamo e rielaboriamo il sentire. Attraversare le emozioni e i pensieri del quotidiano, dei nostri vissuti. Sperimentare che siamo unità, fusione di sentire-pensare, che il sentire è molto più vasto, sottile, conduttore di dimensioni un cui viviamo anche se ancora non ne siamo consapevoli.
Questa è la strada per ampliare la coscienza di sé e della realtà.
Giunti alla consapevolezza è la nostra anima, il nostro Sé, quello Uno con il Tutto, che facilmente trova le vie di risoluzione e immette sensazioni nuove, risposte nuove e soluzioni, ovvero “pensieri nuovi”.

“L’Alchimista è la chiave per cogliere l’UNO che sono, mentre sono qui in questo, questo nome e questo corpo, che sono”. UNO e uno.
Quale la chiave? Quale l’Archetipo per viversi l’essere Tutto e l’essere uno?

La Consapevolezza del sentire, chiave che si è svelata pian piano nel quotidiano.


NELL’OGGI SI APRE L’ETERNO, E L’ORIENTE AFFERRATO DIVINIZZA L’ISTANTE.

Come raggiungere, come diventare, essere consapevolezza nel sentire?
Attraversando, mentre da essi ci lasciamo attraversare, i nostri sentimenti, le emozioni, lasciandoci risuonare nella loro vibrazione.
Conoscendoci e accogliendoci profondamente nei nostri sentimenti, la trasformazione del nostro essere diventa concretezza. I sentimenti vanno trattati nella loro espansione, nella loro reale vibrazione, non possiamo nasconderli, rimuoverli o trasformarli. Vanno lasciati vibrare nella loro essenza perché, in quanto tali, rivelano la loro matrice che crea mutamento, crea cambiamento nella materia.
In questo percorso c’è il livello del sentire e quello dell’ascoltare. “Sentire” è essere uno con l’emozione che ci sta attraversando nella sua vibrazione, è il primo momento in cui, lasciato finalmente il controllo dell’io, nonostante il pensare, accettiamo di essere ciò che siamo in questa esperienza del corpo. Successivamente, quando, non dall’io ma dal sé incondizionato ci spostiamo dalla corrente della vibrazione… alla sponda e “ascoltiamo” ciò che in noi sta passando, solo ascolto, solo osservare, come colui che sta sulla riva del fiume e vede l’acqua, ne avverte la forza ma, mentre ancora è acqua e forza, anche ne è fuori.
E ci conosciamo, avvertiamo le nostre potenze, la nostra essenziale e profonda natura: siamo i creatori di noi stessi e del nostro mondo, di tutti i mondi.
Siamo a questa tappa, ora, come usare la forza che sento in me?

Giunti alla sua porta bussiamo, pian piano ma decisamente. Qui volevamo arrivare e Lui, l’Alchimista, da sempre ci aspetta. Ora con Lui lasceremo calare la luna ascoltando le sue parole; scruteremo il primo rosastro albeggiare, camminando, con il suo raccontare che ci conduce dentro al nostro cuore. E ci conosceremo, con l’intelligenza e l’amorevolezza che Egli ci insegna; ci inoltreremo in passeggiate, escursioni, esplorazioni dell’anima seguendo il Maestro, il Maestro interiore, dentro storie, racconti, metafore, personaggi: sogni, fantasie, verità criptate.

Ciascuno lo dica a se stesso: “Sono qui, queste sono le settimane alla Scuola dell’Alchimista del cuore, del mio cuore. E… sento… mi sento nel mio stesso sentire… sento emozioni… parlare di me … ascolto…” e si apre l’istante… l’Uno.

Così stamattina scruto dentro al mio cuore e vedo il luogo dell’insegnamento e della cura. Un giardino circolare, chiuso da alti cespugli verdi. Il muretto delimita il cerchio interno del pavimento di pietra. Qui il tempo si espande, si comprime secondo il battito del mio cuore.
Percorro con l’Alchimista gli eventi della mia esistenza, quella della mia anima che conosce molte vite, scorre veloce il cursore della memoria quando i ricordi già sono sereni si ferma, s’inceppa, staziona, torna indietro, prosegue, indugia, arranca quando s’inoltra tra emozioni e sentimenti ancora criptati. Vorrei chiamare “dolore” la vibrazione che avverto…

Qui trovo l’Alchimista, nell’attimo in cui non vorrei ritornare, Egli si fa Medico, Medicina, Alimento e posso, finalmente, inabissarmi nella ferita e abitarla, per lasciar libera l’emozione e coglierne la forza che da sempre aspetta che io la senta e l’accolga. Qui ancora lo trovo quando l’evento mi fa decollare, mi mette le ali e io m’avventuro, finalmente decisa a godermi la vita.
Qui, al centro di ogni persona, cosa, evento che ho vissuto col cuore, sta l’Alchimista. Lo ascolto, l’esistenza si apre a un profondo sentire e, da essa, una luce diffusa, da sempre presente, schiude il sapere.
Questo è “l’Alchimista”: il mio Cuore, libero, vivo e pulsante, Uno tra l’universo e la quasi impercettibile pagliuzza dorata che sono.

Intelligenza esistenziale… cogliere, finalmente, la connessione al Tutto di ogni nostro sentire, agire, di ogni pensiero e desiderio. Tutto e ogni cosa si fa esperienza, ha un senso in me. Ogni persona, cosa, evento della nostra esistenza diventa carne e luce.










INTELLIGENZA ESISTENZIALE I° PARTE

1° SETTIMANA - COME RICONOSCERE LE STRATEGIE E LE CHIAVI CHE SONO IN ME PER CONOSCERE ME STESSA

Obiettivo: Comprendere qual è la funzione dei sentimenti e delle emozioni

a) L’intelligenza esistenziale si attiva in noi
L’intelligenza esistenziale ci induce a riflettere sui grandi temi: sul significato della vita e della morte, sulle esperienze più profonde dell’umanità, sul destino ultimo del mondo ma qui, per noi, ora essa è innanzitutto capacità di osservarsi, di guardarsi dentro e riconoscersi nei mille ed uno personaggi che ogni giorno mettiamo in scena nel nostro teatrino della vita.
È, ancora, desiderio di condivisione, di confronto, di esplicitare se stessi così, per quello che si è, raggiunta questa libertà estrema, questa sovranità su se stessi e sul mondo di poter dire di sé il bello e il non bello, ciò che è scomodo, difficile da accettare anche da noi, insieme alla nostra gioia di vivere, di ridere, di ricominciare ogni giorno.
È capacità di ritrovare ritmi più umani, ridare più spazio al dialogo, più tempo all’amore, all’amicizia, insomma ai valori dell’essere in contrapposizione a quelli dell’avere o dell’apparire.

Lasciarci prendere dal gioco della vita che ogni giorno inventiamo grazie alle infinite energie, risorse, fantasie che, dal nostro pozzo profondo e senza limiti, sta solo spingendo per esplodere, uscire e darsi al mondo.
L’intelligenza esistenziale è una delle intelligenze ultimamente ipotizzate e studiate da Howard Gardner all’interno delle intelligenze multiple. Gardner parla di “intelligenze multiple” presenti in tutte le culture, che indicano lo sviluppo di competenze all’interno di sistemi simbolici propri delle varie aree culturali. Tutti gli individui possiedono l’intera gamma delle intelligenze, anche se con gradi e in associazioni diverse. È la combinazione modulare delle intelligenze a determinare la singola personalità. Inoltre nel modello Gardner entrano, con pari dignità delle altre, le intelligenze personali: sia quella intrapersonale, che consente di conoscere e dominare emozioni e, comunque, gli stati interiori, sia quella interpersonale che permette di instaurare rapporti con le altre persone. È un passo ulteriore in avanti, non ultimo, nella comprensione della persona, verso quella visione olistica dell’uomo e dell’esistenza che ci avvicina alla consapevolezza della nostra dimensione cosmica.

L’INTELLIGENZA ESISTENZIALE è la sguardo posato su se stessi, innanzitutto il contatto sempre aperto e attento al proprio mondo interiore e, simultaneamente, l’osservazione e l’ascolto di ciò che dall’esterno ci giunge. Il proprio mondo interiore ha la precedenza. Siamo stati educati a saperci, sempre, in relazione al mondo, all’esterno di noi, poco ci è stato insegnato del nostro appartenere a noi stessi.
Io e me stessa, io e il mio nome, io e ciò che, dall’anima innanzitutto, emerge e mi viene detto, insegnato, chiesto, indicato.
Ma Dio che ha fatto, dagli albori del mondo? Che fa Dio continuamente?
Sta con se stesso, si connette con quel qualcosa che avverte essere “se stesso” là, in quella parte di sé che non è l’esterno a sé, ma è il “sé”. Egli avverte che là è la forza più grande, là è l’attrazione più intensa, quella per cui vale la pena lasciare tutto.
L’unica istanza che si può scegliere: se stessi.

Dio non dice: “Credo nel mondo”, ma dice: “Credo in ciò che avverto, sento, sta qui dentro. In me”.
Solo così può agire un creatore, uno che non ha niente altro, fuori e attorno a se stesso, se Egli non se lo crea. Egli che non può attingere da nessuno, non può prendere da nessuno, che non incontra niente e nessuno fuori di sé se non quello che da sé può trarre, perché altro non c’é.
Questa è la condizione di creatore. A questa bisogna arrivare per rendersi conto che fuori di noi stessi non c’è Dio, non c’è creatura che può affiancarci, né può rispondere a ciò che siamo e a ciò che vogliamo. Innanzitutto, nessuno può darci spiegazione, nessuno può darci visioni del mondo, schemi di pensiero se non li troviamo in noi. Perché niente c’è, di fatto, fuori di ciascuno di noi, di questa Anima che siamo con questo corpo, questa psiche, questo pezzo di storia umana che ci siamo creati nel momento in cui abbiamo deciso di darci un corpo e un’intelligenza e di venire qui, in questa Terra a condividere la condizione di chi ha voluto scegliere, ciascuno per motivi suoi, questa stessa condizione.
A questo porta l’intelligenza esistenziale, a questa origine che siamo in noi stessi e solo in questa origine incontro il fuori di me, che è, al contempo, il Tutto e tante, infinite Anime.

Ascolto, dal mio Alchimista: “Risalita alla Fonte, annullamento di tutte le immagini, dei significati, smascheramento dell’illusione di ciò che credo essere il reale.
Perché ciò che è esterno a me non è il reale, è semplicemente il mondo delle immagini, delle “cose”, dei personaggi che ogni giorno creo e metto in scena per trafficare me stessa e sapere chi sono.
È il mondo dell’illusione che mi serve, sì mi serve, così com’è importante che io creda che esso è vero per il tempo che con esso devo misurarmi, per il tempo che mi è necessario per esplicitare me stessa, lasciar emergere quest’Anima magnifica che sono e che ha voluto, ancora non so perché, inabissarsi quaggiù, criptarsi, sigillarsi attraverso chiavi e simboli, incastrando me stessa in enigmi, in giochi alchemici che, ancora con fatica riesco a sciogliere.
Ma quando, mettendo le mani in pasta col mondo mi gioco fino in fondo, tutta me stessa, a volte quasi oltre me stessa, ecco che la raggiungo la chiave, la tocco, ecco che mi si apre tra le mani quell’archetipo in cui io stessa, da un altro livello di me, mi sono fissata.

Quando so questo allora la vedo l’illusione, innanzitutto il mio essere illusione a me stessa, ogni volta che sto qui a preoccuparmi di me; chi è questa “me” al livello della realtà visibile e toccabile? Un po’ di materia oggi organizzato così, domani, non si sa. Un grumo di emozioni, vibrazioni che mi attraversano. Chi sono al livello del mio mentale? Un fascio di energie strutturate in pensieri, oggi codificati così, domani, chi lo sa? E, ora comprendo… che importanza ha? Che importanza ho a questo livello del mio essere ed esistere?
Nessuna e tanta; scarsa, insieme a fondamentale ed infinita.
Sì, contestualmente parlando sono niente, oggi ci sono domani forse no ma, nello stesso tempo, nel mio essere Anima, Una col Tutto, Creatrice di me stessa, mi sono data questo spazio e tempo per essere e manifestare innanzitutto a me stessa e, insieme a me stessa al Tutto che sono e cui appartengo, il mio ESSERE. Perciò è fondamentale, è unico, è sacro, è insostituibile ogni momento della mia esistenza, perché è la mia Anima, è il mio essere Dio che ora, qui si sta manifestando ed esprimendo.

Così il Tutto e ogni Anima nel Tutto.

Allora è nell’attimo, nell’istante che mi gioco l’Anima. È l’istante che è terra e cielo, tempo ed eternità, materia e polvere di stelle. Amore di sé e amore per qualunque esistenza.
Quando, viste tutte le illusioni che ogni giorno metto in scena per darmi vita e senso, torno a me stessa, sapendo che è all’Anima del mondo che mi affido, inabissata quaggiù, nella donna che sono.
CREARE… quando approderò a questo mio naturale modo di essere?
Dio non risponde alla realtà già esistente, attorno a sé ha il vuoto.
Dio inventa la sua realtà, la crea, la definisce e la decide, la crede”.

INTELLIGENZA ESISTENZIALE II° PARTE



Ecco l’intelligenza esistenziale: ogni attimo è vero, unico e divino. Questa è la vita, questa, che stiamo vivendo è la reale esistenza e tutto il suo senso.
Questo, dalla pienezza e dallo svelarsi di tutti i livelli dell’esistenza nel singolo e nel Tutto, possiamo cogliere e godere.

L’esistenza ha molto di velato.
Lasciar emergere il non detto, il trattenuto, il resistito.
A volte ci sentiamo un’isola e, pur sapendo che non è tutto ciò che sappiamo di noi, definiamo, proteggiamo, difendiamo quest’identità.
Poi il non conosciuto attrae, il buio interiore si anima, ci destabilizza, ci porta ad intuire che in noi c’é molto di sconosciuto, innanzitutto a noi stessi.
Ed è l’irrequietezza, il disagio interiore, la noia a farci mettere i piedi in acqua o a farci salpare, oltre l’isola, sulle acque della vita.
L’incontro con gli Altri, l’Altro: attrazioni, scaramucce, tensioni, gioie e conflitti… giochi.
Nuotare, ampie bracciate, annaspare, inoltrarsi lontano nell’azzurro, la costa che s’allontana.
Tornare, re-incontrare, ricominciare, ritentare, fare, lasciar fare, ritrovarsi in se stessi, nell’altro, perdersi.
In questo turbinare di relazioni, la Vita che viene, ci attraversa, ci usa e si dà; dandosi consistenza e senso attraverso noi.
Vissuti, emozioni, sentimenti di cui essere consapevoli o da cui restare travolti.

Il Mare, questo mare della Vita, che abbraccia l’isola, l’accarezza, amoreggia con la sua isola, a volte l’inonda.
Noi stessi: aggressivi, padroni, potenti, scoperti, indifesi, fragili, luminosi, soli. Vivi.
Cominciare a sapere che non si è solo isola, ma mare, ora terra ora acqua, ora asciutto, ora incompiuto ancora diluito nel Tutto.
Le nostre acque in cui lasciarci andare così che siano esse, le acque della Vita, a far emergere le Parti di noi e del Mondo che attraversiamo, in cui ci ri-conosciamo.

I Sentimenti, considerati scomodi, negativi, quando non giudicati sbagliati, sconvenienti, brutti e irrazionali. Il meglio di noi, le nostre energie più forti e feconde, intelligenti e sane quando finalmente decidiamo di accogliere la psiche animale che siamo.
Poi la presa di coscienza dell’insieme di queste forze e l’ascensione, lenta all’inizio poi sempre più avvincente, verso sentimenti di gioia, positività, benessere. Una corsa a riconoscere, accanto alla nostra parte oscura, ma non per questo meno bella e buona, la nostra parte solare, da sempre presente, solo lasciata in ombra dal nostro pensiero in passato troppo abituato a guardare e pensare la vita dalla parte del dolore e della fatica.

Fino a ieri vivevo così, come mi racconto in queste pagine, oggi…

… “Voglio vivermi come gioia, perché nel mio sentire c’è il progetto che mi sono data e, da oggi, voglio mettere in scena solo copioni di leggerezza ed ironia.
Ho concluso anche la fase dell’affrancare me stessa dai vecchi copioni, da situazioni che mi andavo a creare per rivivermi e risolvere positivamente le stesse, scomode e sofferte emozioni.
Ora so che l’unica missione della vita che ho è quella verso me stessa: innanzitutto di stare bene e godermela, poi quando mi va, di consapevolizzare me stessa, ri-creandomi ad ogni passo, sintonizzandomi sempre sul volere del mio cuore e sul mio pensiero più alto ed evolutivo.
Qui, incontro sempre nuovi compagni di viaggio”.


b) Come ascoltare i miei sentimenti

I Grandi Sentimenti sono le grandi forze di ciò che chiamiamo “divino” in noi e che siamo noi: gelosia appartenenza possesso idolatria onnipotenza impermanenza odio rabbia senso di colpa… insieme a ciò che abbiamo già redento: apprezzamento speranza accoglienza ascolto condivisione compassione fiducia apprezzamento …

“C’è un’unica specie di Amore, ma ce ne sono infinite copie diverse, esso non dura se togli la lotta. L’Amore che economizza non è mai vero amore”.

Mi osservo e dico a me stessa:
“Rivolgiti a questa energia: gelosia… accoglila, seguila, ascoltala…”.
La riconosco: “È mia”.
Mi dico: “Ascoltala, ascoltala, lasciala essere”.
E poi: “Seguila, seguila, seguila”.

Ancora: “Rivolgiti a questa energia: invidia… riconoscila, vivila, seguila”.
“È mia”. “Accoglila accoglila accoglila… respirala”.

“Rivolgiti a questa energia: possesso… ascoltala, accoglila, respirala, lasciala respirare in te, sentila come te… poi come altro da te, altro di te”.

“Volgiti a questa energia: vendetta”. “È mia”.

Rabbia rabbia RRRRRabbia
“È mia… Sono io… Si, sono io… Sono altro”.

Accogli, nomina i tuoi animali interiori, le tue energie di creatura e di creazione più profonde e forti.
Antri abissi valli vette colline mari e acque profonde in cui non mi conoscevo, che non sapevo di abitare. Venti aliti sospiri sussurri tempeste spinte corse entropie esplosioni silenzi, silenzi vuoti, vuoti, vuoti sordi… io, o meglio energie che mi attraversano, in cui mi riconosco viva.
Dai asilo e dai il nome alle tue energie, il loro nome, senza spiegare, senza aggiungere altro, lasciale pure così come sono nate in te. Solo “senti” - “ascolta” mentre dalla loro forza sei attraversata.



SEGRETO n. 1: Contattare e osservare l’energia racchiusa nei sentimenti e nelle emozioni ci permette di sentire chi siamo e cominciare ad usare le grandi potenzialità che sono in noi.


IDOLATRIA



2° SETTIMANA - COME INTEGRARE I MIEI SENTIMENTI

Obiettivo: Rendersi conto che tutti i sentimenti hanno una funzione, anche quelli che giudichiamo “negativi”.

IDOLATRIA

Risuonano le nostre voci nelle vastità delle sale dei nostri templi e palazzi.
L’eco ci ritorna la vastità dei nostri pensieri di pietra: illusorie identità cui abbiamo votato l’anima e consacrato il sangue.

Ci serviva solo una tenda.

Era sufficiente prendersi cura della Tenda che siamo…
al resto, a farci gioire avrebbe provveduto la Vita.
Perché tanta dolorosa superba fatica più grande di noi?
Perché abbiamo caricato le spalle dell’Uomo di tanta “divina” Illusione?

Preoccuparmi e rivolgermi a lei, all’Altra Coscienza, uomo o donna che sia, tentando di fare qualcosa per il suo benessere è il tentativo di affrancarmi, il modo che mi sono data per uscire, far uscire qualcosa da me per togliermi, in qualche modo, dalle mie prigioni.
Vorrei sentirmi un “salvatore” ma non sto dando niente all’Altra Coscienza, lei solo riesce ad essere questo catalizzatore così intenso da farmi, forse, finalmente, tirar fuori un filo, un possibile, un qualcosa di me che mi sposti da me stessa, da questa rigidità, da questa tomba interiore.

Fare di me stessa un Dio, fare di una persona, cosa, idea, un Dio. In fondo, la stessa cosa perché è sempre da me che parte l’intenzione, la scelta, per essermi colta o per aver colto qualcuno o qualcosa come evento fondante e definitivamente significante per la mia esistenza.

Sento… ascolto la forza… avverto una grande vicinanza a me stessa, incondizionata.
Qualcosa di palpabile, forte, intenso, mi tiene stretta a me, mi vuole sul trono di me stessa e si pone fuori da ogni confronto.

Idolatria: grande forza vitale da lasciar essere, riconoscere onorare e ringraziare.

QUESTA FORZA È IL FISSANTE CHE SALVAGUARDA L’INCOLUMITÀ DELLA MIA IDENTITÀ NELLE SITUAZIONI AL LIMITE DELLA SOPRAVVIVENZA.









GELOSIA



“e nessuno la toglierà dalle mie mani…”, la stretta mortale.
Mie sono le mani che mi stringono, tento di togliermi il respiro.
Soffocata da me stessa, dalla Grande Paura diventata madre e padre della mia esistenza dell’agire e del futuro.

Come il primogenito geloso del fratello: perché lo ama, si ama troppo in lui.
Come l’uomo geloso della sua donna: perché in lei ha visto la sua potenza.
Come la donna gelosa del suo maschio: perché quel seme non deve avere altri ventri da nutrire e fecondare.
Come ogni esistenza che continua a fare di qualcosa o qualcuno, fuori di sé, il senso del suo esistere.



Gelosia: grande forza tra le mie mani… la tocco, la circoscrivo, la sento, la palleggio, la metto nel mio cuore.
Così com’è la metto nel mio cuore.
Così come sono mi metto nel mio cuore.

Come d’incanto ecco i pascoli, i prati verdi, le distese fiorite e profumate degli alpeggi.
“Conquistare le vette, dimorare sulle vette”.
Lasciar andare chiunque: madre, padre, ogni fratello, sorella, amante, uomo, donna, figlio… Dio.
Lasciar andare ogni esistenza a rinverdire i propri universi.

A me basta il mio prato fiorito e profumato.

LA GELOSIA È AMORE PER SE STESSI.

Primo unico amore: “e nessuno mi toglierà dalle mie mani” questa attrazione fortissima va indirizzata a se stessi prima che verso l’altro da sé.
Solo quando ci si è accolti, amati incondizionatamente, ci si lascia andare. Si lascia andare chiunque, si possono sciogliere aderenze, modi di essere che sono stati utili e ora, non più necessari, potrebbero diventare gabbie.
Solo quando ho vissuto in me i passaggi dell’adesione totale a me stessa, della comprensione per me stessa posso distinguere, la cosa di cui mi sono nutrita, da me stessa, posso lasciar andare e muovermi verso altro, così cresco e non creo dipendenze.

Oggi lo tocco questo piccolo cunicolo, questo pertugio che sembrava nascosto e segreto invece è stato sempre tutto aperto. La connessione prima, l’amore più forte, quello tra l’Anima, questa psiche e questo corpo; l’io umano e l’io divino che si riconoscono Uno. Il cono di luce attivo tra me e la mia stella. La strada sempre aperta attraverso cui tutti i beni dell’universo mi vengono incontro.








INVIDIA



Perciò è così forte, profondo
e aderente a me:
perché io, in Akenathon, voglio me.
Voglio Lui complementare a me
che mi ritorni me.
Il mio grande io vuole, non Akenathon
ma essere lui, in Akenathon.



*** ***


Ho conosciuto la Grande Separazione
perciò ora canto, rido, gioco…
Ho imparato a dimorare con il Vuoto,
ad attendere,
oltre ogni ragionevole attesa,
fare tardi con il Vuoto

gusto, ora
la terra, le acque, il Cielo:
Signoria di ciò che sembrava vuoto.



Quanto è grande il mondo! Plano sulla vastità del mio desiderio che vedo incarnato così efficacemente e sapientemente nelle vite degli altri.
Mi rode dentro, uh! Quanto li sento bene e chiari questo rotolio e sordo mormorio delle mie viscere che, nonostante io tenti di controllarne il ragionare, dilagano, inondano, allagano tutto il mio sentire e tutto il mio essere. Mi sento un tutt’uno con ciò che vedo davanti a me, e non è mio: il suo uomo, la sua donna, i suoi soldi, la sua casa, il suo sorriso, la sua sfacciata fortuna e il mio giorno, così triste, così povero e infelice, così sfortunato.
Lei sì e io no, gli altri sì e io no.
Eppure, io sono meglio di loro, saprei usarle meglio quelle cose, amarle di più quelle persone.
C’è un legame forte tra me e la persona che è dell’altro, tra me e la cosa che non è mia.
Quasi l’altro, colui che sta godendo della relazione e del mondo, mi intralciano, sono un ostacolo al mio arrivare all’obiettivo, sì perché l’altro è arrivato sulla meta che poteva essere mia, era sicuramente mia!
Tutto andrebbe bene a me, tutto ciò che vedo non mio, starebbe benissimo nel mio mondo!

Questo sento, questo sono ora, insieme alla resistenza che avverto in me perché no, non è possibile essere così invidiosi! Non voglio essere “invidia”!
La lotta, tra me e me stessa: contesa tra un sentire forte che vuole dire, che pesta i piedi, che prepotentemente occupa la mia testa e il dover essere perché: “Non mi si addice questa prepotenza!”.
La lotta in me, la separazione.

Qualcosa, in tutta questa tensione, si sposta, si stacca dal sentire e riesce ad osservarlo. Quanto turbinare tra i miei pensieri e quanto essi stuzzicano, alimentano il pentolone delle mie forze interiori. Comincio a dirmi: “Io non sono più ciò che dovrei essere: non sono mia madre, non sono la mia maestra, né il mio prete o chi mi diceva che volere ciò che l’altro ha, è sconveniente” e l’invidia insiste, s’insedia in me, mi ha vinta. Così la prepotenza, così la rabbia nel vedere come e quanto l’altro si sta legittimamente godendo ciò che ha costruito, di più, ciò che gli è stato regalato.
Osservo: quanto è grande il mio volere!

Comincio a leggere qualcosa… quante sono le cose che mi piacciono! Come sono esigente, raffinata, nel mio volere!

L’INVIDIA CHE PROVO PER LE PERSONE MI STA DANDO LA MISURA DELLA MIA VASTITÀ, DELLA MIA GRANDEZZA.

Tutte le cose belle mi attirano, tutti gli amori felici m’innamorano.
Quanto è grande il mio spazio interiore!
E, mentre vedo il vuoto, perché colgo il mio non vivermi, lo vedo illuminarsi di chiavi, di criteri di scelta, di caratteristiche con le quali, mi rendo conto, scelgo e godo, io, le persone e le cose. Mi avverto più vicina e presente a me stessa in questo lavoro interiore di confronto, discriminazione e scelta, che la parte di me più profonda e mia, sta continuamente attivando.

No, ciò che è dell’Altro non è mio, né è in relazione a me perché, effettivamente, non m’interessa, non è lui, lei o quella cosa che voglio.
Anzi, proprio non voglio.
Adesso mi basta sapere che ho, ben attivi, dei catalizzatori potentissimi e la mia potenza la riconosco ora nell’intensità delle forze che m’hanno attraversato.
Io non sono ciò che l’altro mi può dare, né ciò che una cosa può arricchire di me, sono queste forze, viste nella loro nudità e nella loro efficacia.
Esse si danno a me da una gratuità che le fa esistenti e che, sento, mi abita.
Mi posso nutrire di queste forze e mi pacifico, il resto, ciò che è buono per me, verrà.





APPARTENENZA



Qualcosa rischiava di farmi perdere me stessa un’altra volta.
Qualcosa mi stava, ancora, un’altra volta, portando via da me stessa.
Qualcosa di insidioso, di pericoloso, qualcosa legittimato a sacro, indiscutibile, irresolubile, ineluttabile.
Mi stavo perdendo, stavolta forse, irrimediabilmente.
Perché avevo detto all’altro: “Prenditi cura di me, della mia anima”.
“No, Nessuno la toglierà dalle mie mani”… perché “Io Sono un Dio geloso”.
È mia, la mia Anima, solo di me.
Solo in me posso sentire e sapere Chi sono e cosa vuole la mia Anima.
L’avverto ora che il pericolo è evitato, è fuori di me e lo vedo, quella sarebbe stata l’irrimediabilità della perdita.

Questa È, nell’Uomo, l’in-creazione, niente è mai perduto, ciò che non diventa concretezza non esiste. In ciò che colgo come allontanamento e perdita c’è la presenza di un qualcosa di più grande e vasto, corrispondente a me stessa che si sta preparando.

Semplicemente, la morte non accade.
“Cose più grandi di me farete se soltanto crederete di poterle fare”…
… “non cose più grandi di Te, Signore, mi basta un cuore nuovo”.

Questo ho messo in dubbio.
Ho rischiato di perdere la fede in me stessa, l’evidenza e il riconoscimento del mio stesso esistere, seppur così diverso da quanto ho intorno.

Da qui l’audacia del viversi così, come si è, per quanto e quello che si È.

“Sono questa appartenenza” non come mentale, ma come cuore.
Accettare questo dolore sotterraneo, sottile, insidioso, sempre presente perché ciò che desidero è lontano dalle mie mani.
Accettare questa evidenza: il cuore sta cercando… un toccare!
Ogni volta che m’aspetto qualcosa dall’altro e so che la risposta viene solo da me stessa, qualsiasi cosa. Anche l’ascolto, la condivisione, il nutrimento, la passione, la compagnia, la cura, la fedeltà, l’esclusività, anche una situazione aderente a me o della quale ho bisogno: vanno ricreati dentro me attingendo a questo grande Vuoto/Pieno che sono e che sento.
Qualsiasi cosa va, innanzitutto, risolta, riempita tra me e me stessa. Quando starò bene con me stessa, per tutto quanto io sono, la situazione sarà bene anche fuori di me.
Anche la morte: non c’è la perdita di una persona, c’è il viversi già in un’altra modalità di relazione.

C. Tonarelli: “Per scoprire la verità e sconfiggere la paura, l’insicurezza nell’ascoltare il proprio io interiore, è necessario il silenzio; non si può sentire la voce interiore se si è occupati a parlare”.
Appartenenza… dirmelo: “Noi due ora, comunque, ci apparteniamo”. Dirlo a me stessa che l’altro… lo sento e lo penso talmente tanto che sicuramente mi appartiene e questa consapevolezza sbaraglia tutte le mie paure e la necessità di verificarne all’esterno la presenza. Così per le situazioni, per ciò che voglio dalla vita.
L’appartenenza permessa, riconosciuta, accolta finalmente, permette il lasciar andare mentre mi permette di prendere e vivere le situazioni che si presentano con serenità.
Solo quando l’ho posseduta una cosa o una persona e mi sono posseduta in lei, posso lasciarla andare e lasciarmi andare oltre lei.
Perché è un lasciar andare in situazione, contestualizzato, esperito, ove io sono, comunque sono, come “cuore”.
Bisogna prendere le cose, sentirle proprie.
Le cose, ossia: se stessi, persone, situazioni, sentimenti.
“Sono qui per me, solo per me”.
“Sei qui per me, solo per me”.
Volerselo questo grande incondizionato bene da sentire il mondo dedicato a sé.
Perché le energie stanno nelle cose.
Bisogna avere il coraggio, che in fondo è la semplice evidenza, di chiamare le cose con il loro nome e riconoscere che si vuole quella e solo quella cosa.
Essere bambini.
Autenticità.
Permetterseli tutti, dentro se stessi, i propri desideri, sentimenti e pensieri.
Uscire dalle rimozioni, dalle alienazioni, dalle involuzioni, dalle pseudo-perfezioni.

LA PRIMA APPARTENENZA DA RICONOSCERE È L’APPARTENENZA A SE STESSI.

Me stessa è: me, il fuori di me e il mondo attorno a me ma li sento miei, appartenenti, quando li ri-conduco in me.
Solo se prima sento e riconosco una Parte di me, innanzitutto come emozione, desiderio, tensione e decido di concedermela, regalarmela, darla a me stessa, prenderla da me stessa (nel mio mondo interiore) allora la trovo fuori di me e, quel qualcosa/qualcuno cui corrisponde, mi permette di compiere l’integrazione a me stessa.
Facendo entrare qualcosa/qualcuno nel mio mondo interiore non faccio altro che dare una cosa di me a me stessa, qualcosa/qualcuno che ho fatto precedentemente germogliare in me.

Il primo universo che incontro fuori di me, sono io, innanzitutto il mio corpo fisico, i miei corpi, le mie intelligenze, i miei modi di essere e di amare (di tutto questo spesso non si è consapevoli). Poi incontro me stessa, a specchio, in modi di essere affini, complementari o corrispondenti ai miei. In più incontro diversità scomode, ciò che mi sembra di non essere, atteggiamenti in cui non mi riconosco. Come mai interagiscono con me? Mi disturbano e m’infastidiscono, mi sembrano nemici. Perché mi stanno di fronte? Cosa sono queste interazioni oltre la realtà illusoria dell’essere conflittuali?... forse parti di me che non vedo o non voglio vedere, ma sono.
Appartenenza…
Ancora, alcuni specchi che ho davanti sono stata, ma non voglio più essere così, ora mi posso distinguere: “Non sono…”.
Ancora incontro altri, diversi da me: le sorprese, le imprevedibilità, le novità, le diversità, ciò che non sono, che non sento o non so, mi manca, cerco, aspetto, che viene… che non viene ancora.

Ora comincio a distinguere: appartengo al Tutto, non tutto m’appartiene, non tutti mi sono affini o voglio sul mio cammino.
Lascio andare. Altri li accolgo e confermo.
Attorno a me mille universi, paralleli, tangenti, secanti, danzano.
Spesso interagiamo.
Giochiamo.

Ci sono livelli di amore per se stessi che sono irrinunciabili e che sbaragliano tutti i falsi amori per gli altri.
Sono quelli che cambiano il mondo, innanzitutto il mio mondo.
Fuori da tutte le paure, e gli scrupoli di far soffrire gli altri sono falsi, con essi siamo maschera.

POSSESSO



Lacerati divisi evasi
fuori da noi stessi,
oltre noi stessi.
Inermi estremi
risucchiati dal vortice del possesso
di se stessi, dell’altro
di altro.
Grande io da onorare fatto dio,
fattami dio
la cuspide del nostro tremendo possedere.

Bisogno di guardasi in sé
abbracciarsi
abbandonarsi a sé.
Nel culmine del mio voler possedere
il mondo.
Forza sacra
divino fedele a se stesso
nell’incommensurabile desiderio
di tornare a se stesso
fattosi creazione.



Lei/ la donna/ lui/ la cosa/ la situazione, ciò che non mi permette di sentire mio l’altro, chi amo o credo di amare, le cose che voglio.
Lei/ lui/ la cosa/ la situazione, ciò che sento nemico, ce l’ho dentro, altrimenti non lo sentirei così tanto, solo che ancora non mi riconosco e accetto in questa Parte di me.
Perché lui/ la cosa/ la situazione fa parte di quel qualcosa che voglio tutto mio, ma avverto lei, l’altra, l’altro come ciò che non mi permette di averlo tutto per me.
Ascolto come “me”, accolgo e riconosco come “me” questo mio grande attaccamento alle persone e alle cose.
Onorare quanto posso onorare, ossia la non accettazione del distacco. No, non riesco ad essere più generosa, a condividere questo.
“Lo voglio mio, solo mio!”, “Dev’essere mia, solo mia!”
Ma questa è... forza! Sa perché è qui. È mia questa forza, sento-sono questa forza, sono viva in questa forza! Mi accolgo così, altro non so.
Ringraziare quanto posso ringraziare, per essere ancora qui a lasciar passare l’amore, comunque, a non chiudere. L’altra persona, la cosa, la situazione che avverto come nemico catalizzano la forza ovvero la mia non accettazione, la mia resistenza: é una Tenebra/Luce in me.

Eppure… posso avere, godere solo ciò (persone, cose, conoscenze) che ho dentro di me e come le ho dentro. Questa è una chiave per penetrare la realtà che sono.
La grande forza del possedere è forza in noi, che chiamiamo divina perché la proiettiamo fuori di noi. Riteniamo di non potercela riconoscere nostra una tale forza del volere totalmente l’altro, le cose, così la proiettiamo fuori di noi.
Solo Dio può volere e possedere così esclusivamente la creatura.
Quasi ci manca il coraggio di riconoscerci così appassionatamente amanti di noi stessi, delle nostre creature e dell’universo.

POSSESSO: FORZA REALE DELL’ESSERE, IN OGNI ESSERE.

Va percepita, riconosciuta, onorata, lasciata essere, liberata dalle forme riduttive, relative in cui l’abbiamo ingabbiata.
Lasciata esistere oltre i sensi di colpa e i rimorsi, solo il suo pieno riconoscimento le permette di darsi da sola l’equilibrio in noi, l’unico vero equilibrio sul possesso.
Osare viversi nella Forza di possesso.

Alimentandosi di impermanenza.


IMPERMANENZA


Isole,
possiamo toccarci
non fonderci
“siamo”.

Il respiro della vita
dà vigore alla mia carne
e mi commuove.
Lo sguardo
trepido
sorveglia
quali possibili passi,
segnano le nostre strade.

Nulla resta nelle mani.

Qualcuno scruterà
i solchi della fatica
saprà
che non camminiamo invano.


*** ***


Fuori dal bisogno di attrarre nella mia coscienza Dio.
Il silenzio consuma anche l’ultima parola,
l’estremo ancoraggio.
Chiamarlo Dio è utile per fare un miglio tra noi
ma, l’ultima illusione si solleva
e tu m’appari,
dal vuoto e dal silenzio,
come colui che vuole semplicemente esistere
in ciò che ogni istante È

e mi ri-conosco.



Lei, l’altra donna, che ogni volta mi detronizza dalla mia certezza che lui sia mio.
Lui che tiene per sé una Parte di sé, da viversi oltre me.
Ringraziare quanto posso ringraziare, per essere ancora qui a lasciar passare l’amore, a non chiudere. Lei è una Tenebra/Luce in me.
“Eppure… posso avere, godere solo ciò (persone, cose, conoscenze) che ho dentro di me e come le ho dentro”.

Vissuta al livello dei sentimenti l’impermanenza è viversi l’altalena di esistere/non esistere, di avere/non avere l’altro, di conoscere/non conoscere le sue strade e i suoi porti..
Stringere tra le mani - aprire le mani: il vuoto, eppure… sapere di aver vissuto intensamente.

L’IMPERMANENZA È UNA CHIAVE.
OLTRE IL LIVELLO DEI SENTIMENTI, DEL POSSEDERE, DELLE CERTEZZE, CI PERMETTE L’ESPERIENZA DEL NULLA, PERCHÉ CI IMMETTE NELLA CONSAPEVOLEZZA INDEFINITA NEL TUTTO IN CUI SIAMO, CUI ATTINGIAMO MA CHE NON CI APPARTIENE.

Ogni cosa, ogni situazione È per quello che è: senso del limite, che ci permette di toccare la vastità delle possibilità. Cogliersi oltre il limite della cosa e del momento, nell’apertura incondizionata a quanto la Vita vuol viversi in noi.
Cogliere nuove Parti di me che bussano per esistere e sperimentarmi in esse sapendo che, sempre, c’è altro e che solo il piacere o la paura mi trattengono qui, in ciò che già sono, allora ecco la forza dell’impermanenza che mi spinge oltre…
Ogni attimo è nuovo, può anche contenere qualcosa del passato, ma posso anche permettermelo totalmente nuovo e diverso.
Saprò volare così alto? Voglio volare alto!

Anche la sofferenza ora trova uno sbocco e se ne va. In fondo è un modo di vivere la forza e, se comincia ad uscire, posso guardarmi in questo mio esplicitare una forza.
Quando sono consapevole che sto sperimentando un’energia perché sento la forza e, allo stesso tempo, anche si scioglie, si dissolve dinanzi a me. Perché è la forza della mia intenzione che tiene insieme le energie, le essenze e fa essere le cose. Nella cosa che “è”, che si scioglie e si ricompone davanti a me, colgo l’essenza, l’idea, il pensiero che fa essere la cosa.
Andare dalla cosa all’energia e viceversa. Non fermarsi all’avere in mano solo l’energia, né solo la cosa (persone, eventi) ma, averle in mano le cose e vivercele! Nel vissuto ritrovo forze e ideali. Poi, uscire, fare il distacco dall’idea e dal sentimento, qualunque idea o sentimento, qualunque persona che sta davanti a me, godere la cosa nell’istante e oltre, verso nuovi vissuti e nuovi distacchi.
Ecco il movimento, gli strumenti, le strade per raggiungere le persone, le cose, gli eventi: per un ideale, per le forze, ma anche solo per avere in mano le cose e vivermele .
Godere l’universo che sono. La creazione che mi sono donata, sempre nuova.

Energie… cose… vita da vivere.
Godere quell’Eden da sempre messoci a disposizione da un Dio che ci vuole Signori del nostro Giardino.
Quella parte di noi stessi/Creatore che ci dice: “La mia Gloria sei Tu”.

Tutto ciò che credo mi sia mancato nella vita: amore, affetto, luce, mezzi, salute, risorse…
Lo spazio/l’istante di separazione tra me e quello che cercavo di avere è l’impermanenza.
Avvertire il limite, la mancanza di amore, d’affetto, luce, mezzi… mi fa sentire il limite di ciò che sono, di ciò che posso avere: è sperimentare l’impermanenza.
Stare nell’impermanenza è viversi nel Tutto.
Ho vissuto una “mancanza di” ma era… “presenza di altro”.
Oltre il limite del mio “essere, adesso, questo” e del mio “avere, adesso, questo” c’è il Tutto che adesso mi è indefinito, tanto che lo avverto come Vuoto, ma c’è e verso esso sono protesa.
Nel momento che dico “c’è”, lo sento, lo riconosco, sono nella consapevolezza indefinita.
E tutto arriva negli istanti nuovi che creo.



ODIO



Forza di Vita - Forza di morte
Abbraccio - Distruzione
La mia carne, il mio sentire, campo di battaglia di due Forze inconciliabili. Pari.
Lacerazione - Dolcezza
Urlo - Condivisione
sballottata inesorabilmente tra la dolorosa difesa e la spinta a vivere.
Nessun ancoraggio, oblio.
Prigioniera di vecchie visioni, di rancori, di paure. Ancora vivi, attivi, insidiosi, distruttivi.
Io ho chiuso. Io ho buttato la chiave.
Prigioniera, e la Vita va avanti passando diritta alla mia stazione.


*** ***


Per l’Universo attraverso la solitudine, attraverso un sottilissimo lunghissimo filo di Luce.
Rovesciare le tenebre, le profonde inestricabili tenebre in cui mi perdo.
Il nodo radicale di quando io, bambina, ho aperto all’abisso.
La ferita, rossa, viva, che si apre appena mi vivo la gioia.
Gioia - Castigo: ogni respiro di vita rapito dal giudizio, risucchiato dal sacrificio.
Negarmi la vita, distruggermi: tanto di vita, tanto di morte.

… “Abbracciami!”…

se riesco ad avvolgerlo con le mie braccia, partorisco dal mio cuore quel sottilissimo, lunghissimo filo di Luce.


“La odio, la odio, odio”… mi odio nel mio odiare.
Sono sull’orlo di questo profondo baratro, mi sento dentro e continua a trattenermi con una forza che quasi non sospettavo di avere. È in me questa grande forza, sono questa forza, sono tutta in quest’odio che sento scaturire, che riempie tutto il mio respiro e che non so arginare.
Quale cratere in me!
Sono qui, vinta dalla divisione interiore che non mi permette di dare un senso accettabile agli eventi.
Arranco tra il turbinare del mio sentire e l’urgenza di darmi un ancoraggio, una presa.
Non sono altro ora, e questo istante sembra voler riempire di senso la mia eternità.

Un respiro mi attraversa, nonostante la stretta.
“Sento questo… ciò che sento… ma comunque sento”.
“Sono questo… ciò che sento… solo questo, ma comunque sono”.
Allora, qualcosa si muove dentro “me” e mi fa accogliere questo odio che sono come il “me” più denso, forte, e avverto tutta l’acqua prepotente di questo fragile canale aperto.
Acqua, vita, forza vitale che scorre.

IN QUESTO GRANDE SENTIMENTO CHE CHIAMO ODIO SCORRE UNA FORZA D’AMORE, PER ME.

Sono Una, mi voglio bene talmente tanto che tutto in me reagisce agli eventi.
Mi proteggo, mi difendo, rivendico la mia identità unica, sola, libera, io al centro di tutto. Fuori dalle maschere.
Così Dio si ama in ogni sua creazione.

RABBIA



Vicina all’Urlo, ma in esso non ancora ancorata.
Ancora, l’abbandono del mio essere capienza non coincide tenacemente col cratere di quel vulcano che serba, in fondo alla mia anima, l’urlo.

Ancora, la mia carne non è irrimediabilmente lacerata tanto da alimentarsi del terrore del suo stesso urlo.

Ancora mi difendo, tento di proteggermi da quel vuoto/pieno incandescente che brucerà ogni residuo di vita illusoria, ogni castello dell’io che caparbiamente, in fretta, sempre più disordinatamente, continuo a costruire.


La rabbia serpeggia in me e, se non la agisco, lavora dentro. Poi, una sera mi ritrovo le mani e le dita che si contorcono da sole, devo sbattere qualcosa per terra e prendo tutto ciò che mi passa sottomano: i miei occhiali, lo specchio, la tazza e il piatto. Tutto a terra, con forza e tutto per non prendere il pugno e sbatterlo addosso a mia figlia.
Ma almeno l’ho portata fuori questa forza.
E adesso sto, qui, sfiancata e mi osservo in questa vittoriosa pace ripercorrendo, con sorpresa e tranquillità, ciò che ho fatto. Tutta rabbia. Un corpo di rabbia. La rabbia stava qui dal pomeriggio, quando un dialogo con Tizzy non mi ha permesso di dire ciò che avevo dentro e di fare con lei il percorso che vedevo davanti. Quando lei interrompe il mio parlare non la sopporto.

Queste energie, se non le buttiamo fuori, diventano un corpo e noi, invece di trovarci davanti solo una figlia che dice le parolacce e vorrebbe farci sentire un niente, ci ritroviamo davanti l’aggressore che ci assalta. Rabbia che può raggiungere livelli di compressione e rimozione tali che un giorno possiamo avere di fronte un aggressore che, al massimo di quella che sembra la sua, invece è la nostra rabbia, ci uccide.

Meglio mia figlia.

È cosi’, ora l’ho scritto ma…
Io e lei non siamo solo questo. Questo è passato e non esiste più. Adesso vado di là e le dico buonanotte e domani è come se niente fosse accaduto.

Ma credo che con mia figlia farò un discorso chiaro.
Visto che si crede adulta, le faccio fare l’adulta.


*** ***


Il sole il cielo la luna le stelle,
l’orrido le vette
e i prati verdi:
luoghi dell’infinito fattosi bambino.

Sapere di averli dentro,
cercarli, incamminandoci su sentieri incantati.

Lasciarli esplodere in me.

Respirare profondamente
dai tuoi occhi
l’universo che s’è aperto nel mio cuore.

Rabbia: alimenti prenatali, forze che nutrono la mia anima vegetale. La rabbia ha scavato dentro, dentro a tutte le situazioni di vita che mi sono creata per sapere chi sono e per darmi un senso.

Perché il vivermi e il condividermi col mondo è stato così sofferto?
Perché tutto ha funzionato in me come un arato che costantemente scavava solchi profondi mettendo allo scoperto il calore e l’intimità della mia terra?
Perché non mi sono data attraverso gli altri tenerezza, dolcezza, accoglienza?
Questo arare, sradicare, negare, dentro ai miei sentimenti, ai miei pensieri, alla mia carne.
Non permettere al seme di germogliare, non permettergli l’acqua degli affetti, né il sole delle certezze e delle speranze. Né la sacrosanta linfa del riconoscimento e dell’amore per me stessa.
Rabbia, che mi ha condotto a peregrinare per le strade del mondo, a vagabondare nei cuori e nei mondi degli altri per elemosinare un amore che non poteva essere.
Nessuno può nutrire la mia Anima se non me stessa, nel mio riconoscermi parte del Mondo e Signora della mia esistenza.

RABBIA: LA MIA GRANDE CAPACITÀ DI FARE IL VUOTO, DI RINNOVARMI, DI ANDARE PER L’UNIVERSO SAPENDO CHE IN OGNI CUORE C’È UN PEZZETTO DI ME DA AMARE ED INTEGRARE.

Adesso, che ho definitivamente fissato la mia esistenza, al mio cuore.




STRUGGIMENTO



Il sole mi guarda, brucia il mio sentire, carne che si sente spirito, sangue arso, crisalidi di storia riesumate nell’estremo silenzio.
Spirito che si sente carne, sentire nuovo, i possibili inesplorati diventano cammino.

Ma il sole brucia, la tua assenza è presenza ancora dolorosa.

Resto fedele al sentire più profondo di me che ancora trovo vivo ora che tutto attorno a me è macerie.
Il dolore no, la sofferenza no, il sacrificio no.
Sono la mia carne, “no” non significa rimuoverli, ma percorrerli, prendermene cura, attraverso il sentire sofferto e lasciare che i semi secchi e tenaci del deserto, fioriscano.

Voglio riscattarmi dalla sofferenza.
Giustizia diventa sicura difesa dell’integrità della coscienza, perciò della persona. Ritrovare dentro sé la storia di come ci si è costruiti, di come si è cercata la completezza per darsi equilibrio nelle situazioni.
La storia del proprio sentire, del proprio sintonizzarsi con il cuore a se stessi e agli altri.

E lasciar andare chiunque, anche se stessi e qualsiasi cosa.

*** ***


Fardello, eredità, patrimonio.

Il mio sentito e il mio sentire
da riconoscere e traghettare.

In mare, azzurro profondo,
piste imprevedibili
in un deserto assolato d’azzurro.
Piste illusorie
create dallo sfavillio del sole
possibili da tentare in un deserto di terra
allagato dall’acqua.

Limo profumato, copioso
in cui affondare i piedi
fango gentile, da plasmare
perché la Vita vi aliti.

Me stessa
il primo possibile che incontro
nel mio lasciarmi andare.



Questa assenza di te che in continuazione mi lacera. Illusione, piena di forza, che mi concedo ancora; che mi rode dentro e mi consuma, mi toglie le forze e la voglia di vivere. Nuotare nelle acque amare del non colto, non agito, non deciso, non detto, non preso per me, non goduto. Tutto ciò che di me stessa e del mondo non mi sono concessa né permessa, non regalata.
Una vita di “no”: “Non è possibile, non è conveniente, non è logico né opportuno”. Morire a me stessa un attimo dopo l’altro, un anelito dopo l’altro, negarmi il desiderio, la spinta, la vitalità.
Negarmi il sentire e il mio stesso pensiero, la voglia di vivere, di essere, fare, dire, cantare, danzare.

Ali tarpate, spezzate. Chi, chi mi ha strappato le ali? Chi?
Io, solo io, il mio io, quello che doveva fare di me un clone, una pedina, una copia conforme al sociale in cui sono nata.
Un “No” eletto a signore e padrone di me stessa mentre in fondo tutto ribolle, spinge, sfida, rimbomba, insiste, assilla, preme, preme, urla, ora urla, scoppia, vuole uscire!
Soffocare, ancora soffocare le spinte sotto cappe di razionalità, di parole, di perbenismo, di paure, di motivazioni illusorie e menzognere.

La forza che si scioglie, si fa amara, vischiosa, insidiosa, che penetra ogni cellula, ogni pensiero, anche il cuore contamina e mi separa da me stessa e dal mondo.
Mi fa dubitare di tutto e di tutti, espande solo il mio io, quello illusorio, separato, perché in effetti so che tutto ciò che mi strugge, che desidero ma che ancora, io, lascio esistere come “amaro in bocca” è già parte di me, già è fiorito nel mio cuore.
Perché è di me che ho nostalgia, struggimento, desiderio. Di me! Di quanto solare, gioiosa, vera, sono e so di essere! Di quanto e come so godermi il mondo, di quanto mi lascio incantare dalla bellezza e meraviglia del mondo.

STRUGGIMENTO: ENERGIE DEPOSTE NEL PROFONDO, IL MIO PINGUE SALVADANAIO, IL MIO RICCO HUMUS.

Basta ascoltare il cuore, sentirlo e porre lo sguardo là, in quello spazio in me già nuovo, già rinato, che già crea, in me e in questa mia vita viva: giardini incantati, armonie, abbracci di stelle e galassie.
Già il mio cuore ha creato per me un’oasi fiorita, fresca, ove il vento leggero e amico presiede e canta, ove gli uccelli si posano a svernare. Ove è dolce la sera, accogliere gli amici, altri cuori rinati e cantare, suonare, ridere, giocare con gli abbracci, gli sguardi e le parole nuove. Rinati da se stessi, dall’aver posto i piedi, profondamente a lungo, nel limo dello struggimento.
Creare… decidere di volere, di credere ed essere: sorriso, sguardo ed abbraccio di luce, attingendo a questo limo odoroso e profumato che altro non è se non la polvere di stelle che, da sempre, l’universo mi regala.



SEGRETO n. 2: I sentimenti che, fino a ieri, giudicavamo “negativi” accolti e integrati ci forniscono le energie più forti che possiamo orientare verso i nostri progetti.



SUPERBIA



3° SETTIMANA - COME IMPARARE AD ACCOGLIERE LE MIE ENERGIE

Obiettivo: comprendere che i sentimenti accolti e integrati sono forza a nostra disposizione.


SUPERBIA ORGOGLIO PRESUNZIONE


L’abisso chiama l’abisso al fragore delle sue cascate.
Come faccio ad amarmi nell’Anima se io ho perso la mia anima?
La mia anima inaridita, persa, ammalata, è… tutti i miei sospiri, le mie malinconie, il mio desiderare, il mio struggermi.
Ogni sospiro un regno che mi sono negata.
Ogni fatica, una forma vuota per costruire un castello non mio.

Io redenta, perché convertita alla mia anima, a volte, troppo spesso, ancora sua sentinella ostinata a lasciarla languire in me. Perché è difficile cominciare a vivere… senza re e decidere di essere… il Pastore, Signore delle greggi e dei pascoli.
Lasciarmi andare all’emozione che mi sta inondando l’Anima, la riempie, la abita e mi permette di percepirla, sentirla Mia.
Conoscerla e, in lei, riconoscermi nella Semente di me stessa ora indivisa.


*** ***


È la mia superbia: vedermi nella mia Bellezza.
Sto respirando gaiamente nella mia Bellezza interiore.
Forse è quello che fa la Vita ogni momento.
Così Dio si ama e si compiace di sé?
Allora diamogliela questa possibilità di amarsi, compiacersi in noi, di noi, quanto io mi compiaccio in me, di me.
E a chi se non alla Vita, innanzitutto? Che ci fa Innamorare di Sé e ci fa innamorare del Mondo.

“È la mia superbia: vedermi nella mia bellezza”.


SUPERBIA: IL CORAGGIO DI VIVERSI PER COME SI È.

L’unica via d’uscita.
Essere il centro di me stessa, il mio universo, essere risoluzione a me stessa.
Darmi l’universo.
Ammetterle per se stessi, queste grandi aspettative: questo voglio. In fondo al mio profondo, smisurato cuore, questo cerco con tutta l’intensità che sento nel mio corpo: che tutto sia mio, mio perché… lo amo, o meglio così mi amo nel Tutto.
Tendo a questo abbraccio, niente può restare fuori dal mio abbraccio, dal mio voler toccare qualsiasi esistenza, avvertire qualsiasi fremito di vita.
Giocare, giocare, giocare qualsiasi bellissimo gioco con qualsiasi esistenza che mi chiede di fare un miglio con Lei. Sentire che io guarisco me stessa, rinasco dalle mie ceneri, grazie a questa parte di me che è una con il Tutto. Fenice eterna in fondo al mio spirito.

Questo il mio ultimo, per oggi, perciò non definitivo, pensiero di potere, di assoluto, di possesso, di bramosia e regalità.
Avere il coraggio di lasciarlo essere.

ORGOGLIO


Sì, è ORGOGLIO il mio.
Despota, cocente, prepotente orgoglio.
Questo voglio essere oggi per tanto quanto egli, l’orgoglio, vuol essere e fare in me.
Tutta di lui sarò, del mio smisurato, irrazionale orgoglio. Tutto lo accoglierò, lo incasserò, la sua onda mi travolgerà più volte, lo so già. Mi fermerò, mi piegherò, boccheggerò ma mi lascerò attraversare tutta fino all’ultimo, da questo fiume in piena, di forza.
Lui, l’orgoglio, estinguerà se stesso, il suo corso e la sua potenza per oggi, non io.
Sarà dominato. Ogni attimo fremerò, trasalirò, so cosa accadrà. Mi stordirà, mi lascerà senza centro, senza riferimento, senza me stessa, come un fantasma tenterà di risucchiarmi l’anima e il pensiero, lo lascerò fare.

Sarà domato, si sentirà accolto ed abbracciato, mi onorerà, mi servirà.
Arriverà come il vento, ma egli non è il vento. Violenterà le mie ore con spasimi improvvisi nel mio cuore e nelle mie viscere, nel sentire più mio e segreto.
Farà, dirà, urlerà, mi piegherà, non mi spaventerà né mi vincerà, mi vincerà, è uguale… l’orgoglio.
So come fare, quante volte ha vinto lui e mi ha fatto entrare in illusioni che credevo vere, che, per la necessità di darmi un appiglio, costruivo ed inseguivo per affrancarmi da questo strazio che ancora vorrebbe lacerarmi l’anima, il ventre, che ancora vorrebbe dividere Beatrice in due e succhiare, succhiare, succhiare lasciandomi come sempre ferita e vinta.

Vieni, orgoglio, oggi è la tua corrida, vieni e tuona, sferza, insidia, fammi battere il cuore.
Batterà, il cuore, lo sentirò e lo osserverò battere e scolpire spazi nuovi in me, ancora una volta per me, alla fine per me, perché mio è il mio cuore e quanto vi appartiene.
Poi ti prenderò, orgoglio, tutto, tra le mie mani, amorevolmente e conoscerò, ancor di più, chi sono, perché da questa mia grande capacità di accogliere e riconoscere chiunque e qualunque, insieme a questo mio grande difendere e rivendicare me stessa, mi giungono le coordinate, i pilastri, la vastità e la misura del mio essere.
Ecco perché non posso abdicare a me stessa.

GRANDE FORZA DELL’ORGOGLIO, CON LA TUA VOCE, LA TUA POTENZA, LA TUA INEGUAGLIABILE LUCE, DIRÒ CHI SONO.

Grandi Parole dirò di me, fatta orgoglio e altro… fatta cuore.
Un solo, piccolo, vero cuore di carne che posso nominare col mio Nome.


PRESUNZIONE



La vedo negli altri la PRESUNZIONE, che fa rima con illusione.
Certo, se la vedo fuori di me allora è in me, ma mi vien più facile coglierla negli altri. In me vedo soprattutto i vuoti che mi lascia, la presunzione, ogni volta che, da spietato chirurgo, affondo i ferri nelle mie illusioni.
Da quando, quel giorno, ho saputo di quel cartello che Jacques Maritain aveva posto all’entrata della sua casa: “All’assoluto, impresa di demolizioni”, sempre, troppo, mi ha accompagnato quest’affermazione così radicale.
E la presunzione aleggia, volteggia, danza attorno a me, contatta e sempre sradica la mia esigenza di potermi fermare un attimo a tirare il fiato, a far riposare un po’ me stessa in un’illusione.
Invece no, avanti, sempre altre illusioni da smascherare, le mie innanzitutto. Fare sempre il vuoto, il nulla su ogni credo, su ogni pensiero, affetto, su ogni presunto sostegno ed alleanza.
Sola, sempre sola, ecco il frutto della mia grande presunzione di essere smascheratore di illusioni. Io, incastrata, per prima, nell’ultima paura/fantasma, nell’ultima illusione, quella di essere sola e presumere di essere un salvatore, illudermi di salvare il mondo.
Ho sempre voluto stare dall’altra parte, con chi non ha, con chi non può, la chiamavo solidarietà, no, era presunzione, non sapevo stare dove mi sarebbe piaciuto stare: con chi ha, con chi può.
Troverò il canto, il riso, il gioco, in fondo, oltre la presunzione che mi arrocca qui a tener salda la mia fede, il mio sogno.

Amo, o credo di amare, perciò lascio cadere l’ultimo sogno/illusione, abdico, mi fermo un attimo, mi fermo un giorno, di più molto di più, in un’oasi, in un abbraccio, un cuore, innanzitutto il mio cuore, mentre lo lascio essere così com’è, per quanto si lascia gustare e godere, sapendo che è vivo, è vero.

PRESUNZIONE, FORZA OLTRE LA FORZA, NON DELLE VISCERE, MA DEL PENSIERO, FORZA SOTTILE CHE HA INCANTATO ME STESSA. O ERA AMORE? ERA GIÀ ALLORA APPARTENERE AL TUTTO E SAPERE DI VOLER LIBERI E FELICI TUTTI E TUTTO PER LA MIA GRANDE VOGLIA DI GODERE DI TUTTO?

Sì, non è un’illusione, posso lasciar andare chiunque, innanzitutto me stessa, libera, finalmente dalla mia presunzione.
Oggi le parole di quel cartello sono mie… ne vedo l’insidia, pur nella loro nobiltà… e dico, dall’alto del mio piedistallo: “Al presente… preso, ogni attimo, nell’integrazione”.




giovedì 3 settembre 2009

DELUSIONE SCONFITTA AMAREZZA




La proiezione diventa integrazione. Chissà perché è così dura volermi bene, accogliermi, riconoscermi, amarmi come fonte, gioia, amore di me stessa.
Eppure so che questa è la strada.
Sembra arida, insipida, non stimolante, solitaria. Che ci può essere di interessante, risolutivo, in me?

Eppure solo io posso essere Unica, innanzitutto, per me.
Ecco il mio deserto: il non voler posare lo sguardo, finalmente, su me stessa in abbandono fiducioso e fedele.
Sono in questo guado, ancora non decisa a riconoscermi, abbracciarmi e traghettarmi consapevolmente.

Ma nessuno può nuotare per me.
Eppure, mentre amo o credo di amare, mentre mi rivedo nelle mie storie, osservo il mio essere come modalità di amare, di essere canale e riconosco un grande valore, una grande forza, un’identità.
Intuisco il mio essere capienza e sostanza, percepisco il seme di me stessa indivisa, nella capacità di amare.

La Vita è capacità di amare perciò crea.
Prendersi sulle spalle, traghettarsi… dove?
Qui, nella terra scelta, voluta, decisa.

La soluzione è… lasciarsi traghettare.


*** ***


Qui, nel cuore
il Cielo e la Terra.

Fili di luce
cristalli di perle
che percorrono le vie
uniche e lucenti di ogni Uomo.

Di più, ancora di più
più di volare
più di poter amare
e di sentirmi amata.

Sempre, sempre
partorire
il Desiderio Nuovo che viene.

Desiderio: sintesi propulsiva di pensiero-emozione.
Profondi sospiri. Sto percorrendo una sconosciuta strada di campagna; stamattina la solita strada per arrivare a scuola era interrotta, il senso di orientamento mi diceva che salendo e girando a destra sarei comunque arrivata. Ho chiesto ad una signora, per avere la conferma che l’intuizione era giusta ed ora sono qui a viaggiare in questa campagna che non conosco; la strada si fa più stretta e piena di curve, si sale, si sale, vedo laggiù il paese che s’allontana ma il bivio a destra non c’è o non l’ho visto.
Sono un po’ preoccupata, dove vado? Ora arriverò davvero in ritardo e proprio stamattina che già la macchina aveva dei problemi. Sono ansiosa, arrivo ad innervosirmi, poi comincio a dirmi: se il fuori è la proiezione di ciò che ho dentro, sto percorrendo spazi di me stessa, stamattina me stessa vuol farmi conoscere altri luoghi di me.

Luoghi nuovi, belli comunque; forse è meglio che vada un po’ più piano, che cominci a calmarmi e a gustarmi quello che ho intorno. Il verde, qualche casa, i campi, queste montagne coltivate e, laggiù, s’apre in continuazione il mare.
Quest’azzurro che m’insegue, mi anticipa, m’accompagna e offre un’alternativa, ovunque presente, ai verdi degli ulivi, dei campi, del bosco.
Quanta strada dentro me, quanti luoghi che non conoscevo! Allora, se oggi li sto creando qui, fuori di me, li ho già attraversati, esplorati, percorsi, conquistati. Questo viaggio fuori programma è solo la presa d’atto dei territori in me, conquistati, ora li sto possedendo.
Sono belli, guarda! Sereni, pacifici, puliti, ordinati, fecondi, pieni di boschetti, terreni coltivati, aie e laggiù, laggiù, quel mare!
Che presenza, che sostegno, che risorsa! Tutte le mie acque azzurre, sempre qui pronte a darmi sicurezza, a rasserenarmi e consolarmi. Sono tutte le emozioni che mi sono sempre permessa.

Acqua, acqua salata… lacrime, dolore dentro me, sempre presente, tormento che m’accompagna da sempre, che sale dalla memoria, da luoghi e tempi lontani ma ancora tenacemente legati in me. Da un po’ di giorni è così: sento dolore, malessere profondo che mi toglie il senso e la voglia di vivere. Stamattina appena alzata ho dato il nome a questo soffrire che ora mi sembra gratuito, in più, esagerato nel suo persistere.
Si chiama: delusione, sconfitta, amarezza.
Naviga il mio cuore, si lascia andare ormai senza resistenze, senza tentare un orientamento, una rotta, in questo mare continuo e insistente di malessere.
Sì, come dice Amy: “Io me lo gusto fino in fondo il dolore, così cambia”, e mio dico: “Soffri, soffri, ti stancherai di soffrire! Stacci dentro, soffri, verrà il momento che non ne puoi più di soffrire!”.
Ecco così sto, mentre la strada continua, percorre tutta la montagna, spazi di me conquistati, belli, verd-azzurri, sereni.
Così è il mio dolore? Così: verde, azzurro? Pacifico, vasto, aperto e solare?
Questo sono quando sono tutta dentro al mio star male, al mio struggimento? Spazi aperti, dolci, teneri, colorati, senza fine, come questa strada serena?

Mi ricordo quando un giorno di fronte ad una situazione difficile ho detto: “Questa persona è un muro per me” e ho cominciato a disegnare quel muro per cercare di ammorbidire quella durezza. Dal foglio è emerso un fiore, grande, coloratissimo, forte, un amico m’ha detto: “Questo è il tuo muro?”.
Ecco, così, ora lo so, una parte di me si vive ancora nella separazione e coglie la vita come negazione e soffre, ma l’altra parte di me, quella nuova, viva, gioiosa e solare, sa qual è il vero senso di ciò che vivo: calore, mare, vita, ilarità sempre e comunque.

DELUSIONE? SCONFITTA, AMAREZZA? PRESTO TRASMUTATI E RI-NOMINATI, LO SO, E ATTINGERÒ FORZA, POTENZA ED ALLEGRIA DA OGNI ANGOLO DI QUESTA TERRA VERDE, AZZURRA E DORATA CHE SONO E CHE HO, DEFINITIVAMENTE, CONQUISTATO.



SENSO DI COLPA




Il Tempio non è più Tenebre è Luce.
Bagliori di Luce erompono dai portali, dalle ampie aperture del colonnato.
Attirano inondano, illuminano, svelano
e Noi, Uomini, sentiamo, comprendiamo, integriamo.
Attirati accorriamo alla Soglia, c’aspetta, da sempre, La Presenza.

Luce, Luce, Luce
che ci abbaglia, ci riempie e noi… c’immergiamo nella Luce, pulsiamo della Luce di questo Tempio che siamo.
Anche gli antri, lontani, s’illuminano.
I nostri io ancestrali, abbandonati, quando il mondo ci ha invitati per un’esistenza che c’illudevamo meno faticosa.
Abbandonati, ma lasciati al loro buio, il nostro buio.
Parti di noi da tempi lontani nelle tenebre.
Adesso Luce.


*** ***


E mentre io mi perdo nel cuore dell’altro
dimenticando le mie parole
in me risuonano le sue parole.

Cristalli di luce, fili di perle che riflettono
suoni parole Credo.

In me, tra il buio dei territori sconosciuti
e l’immediatezza dei campi già attraversati,
risuonano e rischiarano parole
che mi riempiono.

L’altro s’è perso in me
mi parla
e io, ascoltandolo,
ritrovo la voce del mio cuore.


“Perché, esisto, sì esisto! Esisto su ciò che tu senti come una morte, lo so. Ma tu, mamma, l’hai voluta questa vita che sono, non te lo ricordi?
Tu mamma che, adesso, immediatamente, appena percepisci in te la mia vita, ti spaventi, tremi, trepidi.

Tremi per te che, da adesso, non sei più solo te stessa. Tu che, comunque, hai voluto lanciarti nell’avventura di essere, per sempre, totalmente data. A me. Al tuo uomo che, senza timori, s’è dato a te, perché tu sapervi cosa farne.
Da adesso il tuo tempo non è più solo tuo, così il tuo spazio, questo temi e avverti già, nella tua ansia gravidica, questi pensieri che vorresti nascondere a te stessa, quasi fossero troppo egoistici.
Invece, mamma, è sacrosanto che tu mi tema: sarò una tale rompiballe che sì, ti ruberò il tempo, lo spazio, la testa, i baci, le carezze e il cuore.
Ti toglierò il sonno, ma più del sonno ti toglierò l’appartenenza a te, la tua esclusività.

Queste le tue paure, mamma, talmente fatte carne, così intense, che io ho conosciuto una sostanza acida, tagliente, mortale, quasi una morte che sentivo rivolta a me, che non ho potuto fermare. Io succhiavo tutto.
Mamma, questa cosa in me è diventata veleno, odio che, già mentre ero nella tua pancia, ha cominciato a galleggiare dentro le mie tenere vene, dentro al mio sentire.
Ero così inerme, impotente, mi sono alimentata di questa sostanza, con essa mi sono costruita, ecco perché questo odio per me stessa è così profondo, uno con me.
Ecco perché poi mi sono ammalata.

Ma anche tu eri impotente sulle tue paure, infatti già trepidavi per me.
Trepidi per me. Perché vedi, senti tutto il tumulto dei tuoi sentimenti e già, mentre me li lanci contro, ti chini su di me, quasi a voler proteggermi da tutte queste forze che, attraverso te, disordinatamente, prepotentemente, mi raggiungono.
Perché intuisci la loro forza, mentre ancora non sai quante sostanze d’amore mi giungono da te e quante risposte d’amore, continuamente, io già, pur piccola come sono, riverso su di te.
Oggi so che quello che chiamavo “odio” è molto molto più luminoso di ciò che credevo di aver succhiato, è latte e miele.
Noi due… un universo.

Sensi di colpa: quante acque rumoreggiano dentro me. Quanto scorrere, scolpire, sbattere, squassare, in balia di un tumulto e io, impotente, contesa in questo mare tormentato.
La tempesta in me, ancestrale, archetipica, perchè?

Ecco, lanciati nel mare della vita per essere naviganti.
Per dire: “Fermati vento, fermati mare… dei miei sentimenti!”.
La rotta nascosta, misteriosa, ancora non conosco la mia stella.
Sto, in un mare di possibilità.
Con te mamma, comincerò ad imparare a navigare.

Sensi di colpa… dialoghi non potuti, schermaglie, abbracci, amori confusi, prenatali, le nostre piccole potenti scaramucce, i nostri primi giochi.
Il nostro universo da imparare a condividere.
Perché il tempo e la fatica li ha stampati in noi come dolore? Paure?
“Genesi”… il primo senso di colpa, la macchia, il peccato… è solo un pensiero che nasconde la nostra immacolatezza, la nostra vera, sola, autentica natura.

Il nostro primo amoreggiare, figlia-madre come una colpa, radice di tutte le colpe?
È un dare la vita, mamma, e la vita è inesauribile, né tua né mia, prendiamone a piene mani.
Sciogliamoci da questo nodo ancestrale, origine di tutti i sensi di colpa: religiosi, morali, etici, sociali, ecologici, che prendere sia un rubare la vita che vuole darsi.

QUANDO PRENDIAMO, QUALSIASI COSA PRENDIAMO, NOI APPREZZIAMO LA VITA.
NOI ONORIAMO LA VITA PROPRIO IN CIÒ CHE PRENDIAMO.

Quando prendiamo nessun altro viene rapinato, é sempre all’Universo che attingiamo e l’Universo vuole darsi.
Ecco dove l’Universo trova il suo senso e noi in lui.

Figlia - mamma: così il nostro essere creazione per il nostro essere creatori.


PAURA




Adesso è il Niente, ancora il Nulla tanto temuto, tanto allontanato.
Ancora il Nulla, Signore del mio presente.
Adesso la Poesia viene, ritorna, s’alimenta di dolore la mia consapevolezza e, chissà perché, solo così si fa parola.
Giardino vuoto, mio, rinnovato.
Creare, costruire?
Io, Beatrice… “Tu sei Beatrice!”
Sì, colei che solo Nulla sa creare, solo dal suo Nulla vede costruire.
E continua a vivere senza saper succhiare, non nutrita, non cullata, ancora protesa nel Vuoto inutile, malsano, inevitabile.


*** ***


Angoli bui nelle mie stanze?
Perché no?
So che quando voglio li vado ad esplorare.
Sono eccitanti
intriganti
questi pezzi di storia nascosti e misteriosi
dentro la mia Anima.

Voglio che la Vita continui a sorprendermi.


Stare qui a misurarmi con questa impresa, più grande di me.
Illudermi che questo fronte è più delle mie forze.
Sentirlo, osservarlo, guardarlo, avvertirne la grandezza, la straordinarietà.
Mi è sconosciuta questa Parte di me che mi sono messa di fronte. Io l’ho attirata, con quale forza, se non una forza pari e contraria? Allora è in me una tale forza.
Questa esistenza, situazione, progetto, sogno che ho costruito dentro me perché così voglio misurarmi, sperimentarmi, conoscermi.
Perché voglio trafficare me stessa in un qualcosa che ora sento invalicabile?
Qualcosa che solo accostandola crea in me tensione? Cos’è quest’ansia?
Mi sembra di non farcela, di soccombere, di venir distrutta, dispersa dal mio stesso sogno.

Questa forza che nasce nella mia pancia e s’irradia al cuore, alle gambe, alla gola, mi stringe, m’irrigidisce: è una morsa.
La mia carne ha costruito una rete che mi costringe, mi fa mancare il respiro.
Davanti a che cosa la mia carne ha risposto così? Distruzione, dispersione, annullamento così chiamo quello che percepisco. Sono qui a dirmi questo, a chiamare con questi nomi quello che sento: “Sono Paura”.
Allora “sono”, sono questo sentire-chiamare, sono questo nome che mi sono data.
“Sono” quanto chiamo, “sono” ciò a cui do il nome.
Perché chiamo distruzione, annullamento, paura una modalità che, comunque, è esistenza?
Se sono proiettata in un progetto, forse anche questo fa parte del progetto. Perché dovrei dubitare che questo passo infici il progetto?

Sì, percepisco che qualcosa, adesso, va lasciato, annullato, disintegrato, ma cosa sono queste dinamiche che incontro se non l’azzeramento, la resettazione di ciò che è, tutto ciò che oggi è e io stessa sono, perché tutte le energie qui contenute mi servono, ora, per essere la mia Nuova Creazione?
Il mio Sogno, in cui dirmi, finalmente con gioia: “Sono” vuole l’investimento di tutto ciò che ero.

PAURA: ATTRAVERSARE QUESTO SPAZIO/TEMPO DELLO SCIOGLIERSI DI VECCHIE CREAZIONI.

Tutto va lasciato andare: lasciare una creazione, un sentimento, un pensiero, un sistema di credenze, un nome di me per essere il Nome Nuovo che spinge dal profondo.








RANCORE




a Dio

Quel Dio diventato fame, dentro me
quel Dio diventato solitudine, dentro me
quel Dio diventato freddo, in me.

Bisogna agire le cose
da quel luogo in cui si è
con il cuore e l’Anima scoperti

da qui, da tutto il mio rancore.


È come se non trovassi più questo sentimento dentro me, o forse ne sono così permeata che non lo distinguo dai miei altri modi di sentire?
In questi giorni sono molto arrabbiata, perché con alcune persone c’è una tale divergenza di comportamenti e di atteggiamenti che mi è difficile restare indifferente. Eppure ormai so che quello che vedo, sento, sta, fuori di me, è solo illusione. Sì, gli altri, questi altri che interagiscono quotidianamente con me, che amo, che fanno parte dei miei affetti, sono se stessi, hanno diritto e ragione ad essere se stessi ma qui ci scontriamo.

Sono stanca, so che è inutile confliggere per pretendere di essere, io, compresa. Può darsi che anche le loro ragioni siano valide, sicuramente anche il loro è un modo di fare e, tanto quanto il mio, va rispettato. Ma come fare? Mi sento costantemente non rispettata, quando non aggredita, minacciata, da certi comportamenti e da certi mentali che stazionano dentro la testa di altri.
Sì, lo so, questo significa che, a specchio, anch’io ho dei pensieri confusi nei loro confronti.
Significa anche che io sto proiettando su loro le mie ansie e paure e ho paura che a loro accada qualcosa di pericoloso, negativo, dannoso, semplicemente perché io ho vissuto queste paure su di me. E se poco poco mi connetto con me stessa le vedo qua, belle, giganti e attivissime queste paure.
A volte invece altre paure, ancora, non le vedo.

Che fare? Darmi da fare con il fuori di me, con gli altri, cioè tentare di parlare per chiarire e spiegarsi non serve, non ora, ho provato più volte e mi sono fatta male, parecchio male.
Non sopporto più il parlare che non fa altro che alimentare il fuoco delle reciproche incomprensioni e individualizzazioni, invece di aiutare a sciogliere le tensioni.
Se lei, quest’anima che sta davanti a me e m’interpella dalle parti più difficili e conflittuali di me, sta qui, davanti a me e io la amo nonostante tutto e lei mi ama, nonostante tutto, bisogna cambiare atteggiamento.

Lei, quest’anima, prima ancora di essere qui davanti a me, è dentro di me. Io l’ho creata da quel luogo di me che è sacro, che è vincente, che è la mia capacità divina di creare e perciò so che dentro me, dove io l’ho tratta da me, lei è bella, è una favola di persona che mi sono regalata, mentre ho permesso a lei di regalarsi un’esistenza.
E io sono lo stesso per lei.
No, non serve a niente parlare e scontrarsi.
Voglio fare silenzio, entrare in me, ascoltarmi, amare me stessa e che sia il fondo di me stessa a riportarmi lei, così com’è in tutta la sua bellezza.
Voglio rapportarmi con quest’anima, questa “lei” che sta in me, bella, nuova, gioiosa, tutta se stessa, così come io l’ho voluta creare e così come lei ha creato me.
Mi viene in mente mia madre, sì, anche con mia madre non ci sono state grandi condivisioni e, solo da grande ho compreso che anche lei andava bene così, così com’era e così come ha fatto, sì credo di aver ricreato mia madre dentro me. Il rapporto con lei così poco esteriore, certamente vivo e vero, m’ha permesso di fare grandi salti nella vita, con questa grande capacità di fare il distacco dalle situazioni, da tutto e da tutti, che mi conduce a osservare, con grande obiettività, dentro le interazioni umane. Eppure, da quaggiù o lassù, dove sono andata e dove sono, tutta sola, mia madre è sempre con me.

Che fare?
Sto facendo silenzio, anche sto boicottando i tentativi di chi mi sta accanto di voler fare pace, perché ora sarebbe una pace illusoria, fasulla, costruita su quelle parti di noi ancora confuse, distorte e quella pace, come già successo innumerevoli volte, non durerebbe.

Dentro me ho lei, pazienza se per il momento fuori il dialogo è interrotto, pazienza se, dalle mie paure penso che a lei mancherà una comunione, un sostegno; questo è detto dal mondo delle mie paure e, poiché lo so, non l’assecondo.
Sto come mi sento e mi piace essere, e dove mi piace essere, dentro me, in questo luogo in cui, dal meglio di me stessa ho creato lei, tutti gli altri e tutto il resto.
Qui dentro, questo luogo, lo so esistente e ci so stare, sostare, ma ancora è buio, è avvolto dalle nebbie e dai vapori, ancora non so cosa ci sta qua dentro.
So solo che è il luogo in me dove sono accolta, sempre, per ciò che sono, per ciò che sento e voglio, per qualsiasi cosa desidero, penso, sogno.

Rancore… si scioglie, si plasma, sento il suo soffiare dolce e pieno. Sono io e sono accolta, sono con la mia storia, anche nuda e sola, ma sempre serena. Questo luogo mi permette di ritrovare il sorriso anche quando, in ogni altra parte di me, c’è travaglio e dolore.
Qui i sogni sono sempre vivi, attivi, presenti e fedeli, non se ne vanno e mi permettono di ritrovare intatta le mia voglia di vivere, di vincere, fare cose nuove, di essere nuova.
Qui incontro me stessa nella veglia e nel sonno. Qui veglia, sonno e sogno si equivalgono e io vivo i miei sogni, così li rendo veri, concreti, reali e luminosi fuori di me.

QUI OGNI SOGNO È POSSIBILE, È PERMESSO, HA UN SENSO E UN SIGNIFICATO CHE ESALTA LA MIA VITA E CHE SI COLLEGA AL GRANDE SOGNARE E SOGNO DELL’UMANITÀ CUI APPARTENGO.

Da qui il mio sognare e i miei sogni sono dei regali per me e per l’umanità, sono utili, funzionali, sono giochi per divertirsi ed espandersi.

Da qui voglio ripensare mia figlia, così come l’ho contemplata quando l’ho voluta e cercata. Quando sono andata a prendermela lassù, tra le stelle, tra le vette della mia anima più libera e vera, generosa e ilare. Perché io l’ho creata dal meglio di me e io così voglio saperla e godermela.
Così la incontro dentro me, so che così la ritroverò fuori di me.
E ci sarà l’abbraccio.








ANGOSCIA





Vento, Sono Vento
Forza e Vita.

Apriti
sospendi il tuo pensare
e lasciati penetrare

e, mentre stai
nuda e vuota
a lasciarti fare dalla Vita,
intercedi.

Sii, davanti a me,
tutta la Terra e tutti i suoi figli
e lascia che il vento forte e dolce del deserto
entri in ogni respiro.

Lasciati possedere dal Re
o mio primo, amorevole, infinito
abissale Pensiero.

Parlami… sussurrami…

… ascolto.



Botta sullo stomaco. A sorpresa. Spesso nella giornata e la notte …
Ora so cos’è: è tutta la spinta ad essere, vivere, prendere, andare, sperimentare che ho trattenuto.
Sono i “no” che mi sono sempre detta appena il desiderio e la voglia emergeva e s’affacciava al sentire o alla mente.
Mi sono sempre negata le esperienze e le cose, me stessa.
Quella forza trattenuta ha urlato, urla la sua paura di non essere vissuta.
Ora lo so, ogni sferzata di dolore allo stomaco è stata il dire: “Non puoi, non devi”.
Arrivare al punto che creavo qualcuno fuori di me che me lo dicesse.
E i “no” alla vita fioccavano.

È stata dura stanarti, sentimento oscuro e represso.
Ora lo so, arriva pure a sorpresa colpo basso, ti lascio essere ed espanderti in me e, mentre m’attraversi, mi dico che: “Tutto posso”.

ANGOSCIA: FORZA DELLA MIA DANZA SUL MONDO. SPINTA CHE NASCE AL CENTRO DEL MIO ESSERE CREATORE DELL’ESISTENZA.

Prendo questa forza che in me risuona e con essa mi dico: “Posso, Vado, Faccio, Tocco, Prendo... Salto nel mondo!”.





TIMIDEZZA





Si è guaritori tanto quanto, attraverso il nostro guarire, l’altro vede, riflessa in noi la Sua capacità di guarire.


Parlare, annunciare le mirabili immagini riflesse di noi.
Parlare di noi come si parla del fiume, del seme, dell’amore.
Lasciarsi dire nella bocca di altri, lasciarsi portare nei pensieri e nei cuori di altri.
Morti a se stessi
Rinati
Esuli
al nostro stesso cuore
serenamente

come una vela si lascia attraversare
dall’improvviso raggio di sole.

Quando affronto una scolaresca assonnata e demotivata e vorrei trovare la scusa che non vogliono lavorare. Invece so che è mio il sonno e l’indolenza.
Poi, no, c’è altro.
C’è una barriera d’ansia e tensione tra me e il mondo, da sempre.
Mi sento piccola e incapace di fronte agli altri.
Vedo le folle, i convegni, i gruppi di persone con cui sempre ho desiderato interagire da co-protagonista e questa resistenza che diventava cuore che batte, sudore alle mani, balbettio, rossore, timidezza. Mi nascondevo, usando i miei pensieri, dietro a: “non sono all’altezza”, “non so fare”, “sono inadeguata”.
Anzi, neanche il pensiero, bastava un’emozione, un tremore che conteneva non espresso, questo pensiero.

“Inadeguata”, parola che ha risuonato a lungo in me, ancora vivo il ricordo di quel viale, la grande scalinata e la stazione di fronte.
Un tale anfiteatro con i bar, i negozi, la libreria a fianco, avrebbe potuto scatenare in chiunque altro un senso di potenza, di adeguatezza (se questo sono, questo che vedo fuori di me così grande e accessibile!): natura, amori, viaggi, denaro, intelligenze, era tutto scritto, di me, nelle cose. Invece, un brivido di inadeguatezza, un senso di vuoto ed impotenza, un vuoto di senso; perdita delle coordinate che mi possono dare significato e ragion d’essere in questo tempo e spazio.
Un pensiero mi attraversava: “Io no”. Oh, la forza delle proiezioni genitoriali! Ascoltate dal limite che il padre e la madre hanno accettato di se stessi, per poi trasferirli tali e quali, se non amplificati, sui figli.
“Tu non puoi”, “non ce la fai”, crescere, alimentarsi di “no”.

Ma dentro qualcosa pulsa, resta vivo nonostante tanto soffocare, t’insegue per una vita, da quante vite? Quel punto che parla col silenzio, luminoso e palpitante in fondo a te stessa, non dà tregua. Quando ritieni d’aver raggiunto un po’ di pace e sicurezza, tutto, sempre, ri-destabilizza quel bussare in fondo al cuore, in fondo alla notte e là, dopo l’ultimo pensiero. Finalmente, esauriti tutti i tentativi di trovare in altro il senso, ti arrendi a questa presenza e, da lei, ti lasci condurre.
Risalire la timidezza, fino a lasciarsi fare dal cuore che batte incontrollato, dal sudore che ti bagna le mani e… parlare, dire, esserci, là in mezzo, buttata tra le braccia e le teste, i corpi, l’ascolto, l’attenzione, la critica, il confronto, la bocciatura, il riconoscimento degli altri.
Lasciarsi possedere dal non controllo dell’emozione, sciogliersi nell’ansia, lasciare che le vampate ti cambino il viso e che la lingua balbetti, incespichi, sbagli parole e accenti.
Il messaggio va, non sono io il messaggio… io sono il messaggio.
La mia vita, il mio corpo, così com’è, è canale - messaggio - contenuto.
Sono ciò che ho vissuto e vivo e lo dico stando qui, al centro - guadagnato - sudato - voluto della Vostra attenzione.
“Sentire… sapere che non ho vissuto invano”.
“Sentire… sapere che non abbiamo vissuto invano”.

TIMIDEZZA: TERRA DI MEZZO, ANFRATTI INESPLORATI RICCHI DI HUMUS, FRAGOLINE DI BOSCO E RAGGI DI SOLE DA ESPLORARE, IN CUI SOSTARE

per avvertire che ogni respiro permesso, goduto e agito, pur nel sopravvento dell’emozione e nella latitanza della stabilità, è già coraggio.


CORAGGIO




Se il cuore ti trasporta in mille e uno colori
lascialo fare.
Ricordi?
I sentimenti, le emozioni, detti, ascoltati, lasciati turbinare,
ogni essere ha trovato il modo di parlare di sé
nel grande anfiteatro della storia del mondo.

Il tuo cuore di carne possiede tutto
sa tutto.
Ogni voce ora si fa anfiteatro
e al centro lui, il Re, il cuore di carne
fatto cuore del mondo

batte.

Sempre avuto, sempre usato.
Una parte di me giocava a nascondino e si permetteva parole vane, insidiose e disfattiste dette da chi fuori di me, incarnava, a specchio, la mia disistima e i miei dubbi su ciò che da sempre sono. Affrontati da rinnovato Don Chisciotte tutti i fantasmi del mio mentale che (poveretto) pensava di doversi misurare solo con identità terrene e non sapeva ancora, non poteva sapere, di essere stato creato (fortunato lui!) per fare da assistente solerte e competente ad una stella.
Lo strumento è stato creato all’altezza, creato ad arte dal suo Signore e Padre, che sono io ad un’altra levatura di me, che non solo strumento-cervello-computer lo vuole ma, alleato, complice e compagno.
Intelletto chiamato a cogliere e assecondare la carne, materia stellare, di più, cuore, sostanza d’Amore che fa battere il cuore.
Intelletto cosmico che sa creare cellule nuove, mondi e linguaggi.
Che sta viaggiando tra cosmi e galassie, percorsi del corpo, di cuore e polmoni, di vene e sangue, di eros e abbracci.

CORAGGIO: BIP BIP CHE COLLEGA CELLULE E COSMO.
TAM TAM DELLE STELLE.

L’eco stellare risuona, s’armonizza ogni pulsione, ogni processo.
Tutto il cosmo, racchiuso in un corpo.

CORAGGIO: BIP BIP RISUONA OGNI DOVE.
TAM TAM RISPONDE CORALE OGNI CUORE.

L’ONDA SONORA CHE TOCCA OGNI UOMO, SI FA COMPRENSIONE DI VASTO SENTIRE E TUTTA LA TERRA FA RISVEGLIARE.

L’uomo è microcosmo, raggiunta la consapevolezza cosmica della sua dignità di Creatore, questo canto trasmette ad ogni creatura e, ogni voce dell’universo, nella sua orbita riprende il canto e la danza.

L’uomo è macrocosmo: ogni respiro, pensiero, parola, gesto, umore, condiviso con l’altro e con la Terra, si fa canale di consapevolezza.
Tra l’uomo e l’universo il cerchio della sacralità, da sempre vivo, centra ed esalta ogni esistenza.






IMPOTENZA




Nulla impedisce al mare
di sciogliere le sue acque
sulla sabbia.

Nulla impedisce al mare
di stendere la sua onda
sulla spiaggia.

Nulla impedisce al mare
di spingere la sua impronta
sulla terra.

Ogni giorno, è un altro giorno. Ma io sono qui legata a questo schemino mentale che si chiama impotenza. Vecchio di millenni, le ere, i secoli che la mia Anima ha attraversato, insieme a tante altre Anime.
Nel Tutto ci riconosciamo.
So che stavo là in un luogo dorato, ero, ancora sono, pagliuzza dorata, nella mente di Dio, nella mia mente, ove sono Dio.
Nella mente del Tutto cui tutto e tutti apparteniamo, sono, siamo come pagliuzze dorate rutilanti, danzati, respiranti in un vuoto-pieno luminoso e incandescente che ci anima, alimenta ed eleva.
Poi un giorno, in uno dei nostri giocosi vorticare, passiamo vicino ad un’anima che ci strizza l’occhiolino… è fatta. In un attimo tutto è detto perché là i pensieri viaggiano alla velocità della luce e oltre.
Ci tuffiamo, giù, su, dentro, fuori, dal centro in cui siamo infinite sono le direzioni in cui buttarci in un’avventura di incarnazione.

Velocissimo il viaggio, anche se, ciascuno di noi si prende tutto il tempo per osservare, scrutare, vagliare quale corpo, quale casa e paese abitare.
Un seme di luce nel cuore, in fondo agli abissi dell’Anima che là, tra le stelle, è terra dorata, qui sulla Terra è… terra… opaca, confusa, fredda e affannata, affamata.
Che cosa ci spinge a lasciare il volo e la danza? Che cosa ci spinge a lasciare le mille possibilità di amarci, abbracciarci, avvoltolarci su noi stessi come nuvole spumeggianti, come palle di fuoco, tocchi di brezza e… ridere, ridere, ridere!
Sì, perché tutto questo siamo, lassù, laggiù, qui e ora, dentro noi stessi in cui siamo Dio.
Perché, dunque, scegliere la fatica, il dolore a volte, l’incomunicazione dei linguaggi terreni, perché?
Oh! perché c’è una stella quaggiù, quassù, qui e ora, dentro la Terra, dentro le galassie e i pianeti del cosmo! Una stella-pagliuzza dorata fatta materia sonora vibrante e incandescente, c’è una stella inabissata che mi ha scelto, per fare… un giro di valzer con lei!

“Bella Stella dimmi tu cosa vedi da lassù - da quassù io vedo te”.
“Bella stella dimmi tu cosa vedi da quaggiù - da quaggiù io vedo te”.

Ancor più sonora e vibrante questa dimensione della Terra, criptata, muta, silente, avvincente, ecco perché siamo qui.
Non possiamo fermarci, basta aver messo una volta il naso fuori dal mondo dorato che ci nutre e contiene come un forziere pregiato e tutto, tutto ciò che quel mondo dorato ha deciso di pensare, di essere e sperimentare: stella, fiore, fiume, foglia, bambino, vento e seme, cuore e abbraccio, vogliamo essere.
E si nasce… in un ventre, tra braccia amorevoli o soli e al freddo, non ha importanza, ma qui si viene per ritrovare la danza, per rincorrere quegli occhi appassionati e furbetti, e perdersi in essi. Questo si insegue tutte le vite, quell’attimo in cui tu e lui, tu e lei, toccati dall’attrazione e dalla natura comune dei semi primordiali, questi semi avete deciso di incarnare.

Come quando i bambini perdono se stessi su un cumulo di sabbia fine e dorata.
Che, guarda caso di sabbia si tratta, di rena, di terra in cui mettere le mani, impastare, rendere viva e attiva con l’acqua e… pasticciare, costruire, inventare, fare e sciogliere le mille possibilità della vita.
Finché, basta un attimo, si guarda il sole e per una frazione di secondo si è abbagliati, accecati, si perdono le coordinate, qualcosa continua, tutto continua, ma quel raggio di sole ha colpito la profondità dell’occhio, per un attimo la luce ha illuminato tutto il buio in cui siamo scesi, in cui sono scesa e là in quello scarto, tra la consapevolezza del buio e che, niente è buio, l’IMPOTENZA…
“Non sono Dio”.
Impotenza… Mi sento impotente… sono impotente.

Il punto è, questo non sapevo, che questo è Dio. E che nell’attimo è vivibile, è buono e giusto che il buio sia buio, accanto alla luce che è luce, e, in Dio, questo va bene così, perché Dio, subito, nell’istante successivo è tutto buio o tutto luce, o anche buio e luce, e va bene così, anche questo è buono e giusto.

Ma io ho ricordato, ho voluto tornare indietro.

Avevo imparato che qui sulla Terra ci sono dei modi per fare, di un mucchio indefinito di sabbia, una strada.
Stavo osservando i miei movimenti e mi rendevo conto che mi spostavo, perché stavo costruendo là, sulla sabbia, un tracciato, un percorso; ho preparato uno scivolo per far scorrere i miei giochi, le palline dorate, quelle che mi ero portata dalle stelle.
Anche le palline spostavo. Avevo osservato i miei movimenti e mi ero resa conto che si chiamano “avanti e indietro”, “sopra e sotto”, “destra e sinistra” . È stato immediato trasferire quel movimento in me, farne la strada per un pensiero, costruire su queste coordinate: metterci altre palline dorate, ovvero delle voci, dei colori, delle sensazioni di ciò che stavo sperimentando e conoscendo e ho costruito, un pensiero.

Tanto mi affascinava quel percorso (costruito da me!) e che vedevo fuori di me attraversato da coloratissime e vivaci palline, che ho desiderato imprimere in me stessa quel gioco.
Ecco, una catena di colori, collocati su coordinate che, immediatamente, si sono create in me, agganciate a dei filamenti di forza. Vedevo vibrare un filo di energia che passava e su di esso, ad intervalli regolari, le palline fissate.
Quel filo, nella mia mente, copiava esattamente l’immagine di quel percorso esterno sulla sabbia e i batuffoletti colorati e vivi stavano abbracciati al filo luminoso negli stessi punti in cui, sulla sabbia, io avevo creato: buche, trabocchetti, terrazze, avvallamenti, parcheggi per i miei giochini portati dalle stelle.
Avvertivo che vicino a me, altri fratelli stavano inventando i loro divertimenti, mi guardavo attorno e vedevo un luna-park, luci, colori e tanta allegria.

Ricordo… sono qui, sono tornata sulla mia sabbia dove stavo da bambina, “al sabion” la chiamavano le zie, la mia montagna inviolata di sabbia dorata. Sto, all’ombra del pruno, vicino al fosso dove nonna prende a secchi pesanti, l’acqua per il suo orto.
Ho sempre creato le mie esistenze.
Ora scorrono le mie palline colorate, lancio una pallina da lassù, dalla terrazza sospesa in alto, e lei scivola giù veloce; prima era là, un attimo dopo è qua, pronta ad essere riportata su da me, in cima, per rilanciarsi a tutta velocità sulla pista, accelerare, sbaragliare le sorelle, arrivare prima.
Questo modo di essere della pallina davanti a me… lei si presenta in un susseguirsi di attimi in cui lei, la stessa, ancora sta davanti a me, ma questo è l’attimo dopo da quel momento prima in cui l’avevo vista. “Prima-dopo” .

Ho cominciato trattenere i due istanti in me, ma mi sono resa conto che se vedevo la pallina sopra, non potevo vederla essere, nello stesso istante, sotto. Non so perché ma, mentre in quel mondo tra le pagliuzze dorate io so di stare qua e là, sopra e sotto, in alto e in basso tutto nello stesso istante, qui, su questo mucchio di sabbia con cui mi piace giocare e fare le piste per i miei giochini, non è così. Se la vedo sopra sotto non c’è. Quando arriva giù, su non c’è più. Non capisco. Tutto è più frammentato, però è bello, le palline sono colorate, parlano, cantano, vibrano, le posso tenere tra le mani. Sembrano chiacchierare tra loro, scambiarsi sorrisi e risatine, a volte si spingono, ecco perché poi scappano fuori dal tracciato e qualcuna cade.
Sai, questa è una pista, a tratti è molto ripida e lì i miei giochini sono a rischio, se non trattengono un po’ la velocità, finiscono gambe all’aria fuori, sotto il mucchio di sabbia, e io devo soccorrerli.
Allora dico: “Pianoooo, controllatevi, rallentate!”, insomma è tutto un gioco di sintonia tra spazio, tempo e velocità, quello che lassù, nel mio cielo dove voliamo, chiamiamo ritmo ed è importante che siamo coordinati nel ritmo, per poterci incontrare, per far scoccare quell’occhiata fatale che poi ci porta giù, qui a giocare sulla sabbia dorata, a continuare la nostra danza, la stessa che continuiamo a fare lassù, come stelle.

Quando, finalmente, le palline si mettono d’accordo e, senza spingere, superare, scavalcare, rispettano gli spazi tra una e l’altra e i tempi di discesa, vedessi! Si sono messe d’accordo, passano davanti i miei occhi ad intervalli regolari, si sono date un tempo tra il prima, il dopo ed ecco c’è un ritmo, una frequenza, un disegno ordinato che si crea.
Che corse armoniose, che danze! I colori s’intersecano, si scambiano riflessi, brillano! Che gioco! La sabbia, sembra opaca, buia, fredda, vedessi come risaltano i miei giochini su quel color terra così pacato, cosi adattato alle curve, alle discese pazze della pista!
Comincio a sentire… altro, e a capire: se sto nell’istante e osservo la pallina in quello spazio-tempo che sta attraversando nella sua corsa, se la colgo nell’istante essa è luminosa, vibrante e mi comunica una forza e potenza che, mentre la vedo nel suo rotolare, anche sento in me, è in me quella forza.

Oh, l’istante! Pieno di forza, potere e gioco, è entusiasmante! Io e la pallina siamo uno! E corriamo, scendiamo, tracimiamo, la forza è in lei e in me che, presa dal mio essere bambina nel gioco, altro non so che quest’attimo di gioco!
Poi, altro posso fare col pensiero e col ricordo: spostarmi al prima e al dopo della corsa, avanti e indietro sul percorso; in questo caso lei, l’amica giocosa e colorata, gialla, rossa, blu, mia, non brilla, è bella, so che mi dà momenti unici di vitalità e che è nel suo colore, ma non brilla.

Adesso so, lei, quando la ri-vedo dal pensiero, sta nel mio ricordo; è la mia mente che fa avanti e indietro nello spazio e nel tempo, che tenta di ricordare la velocità e si gode il ricordo di quel momento entusiasmante in cui nient’altro c’era che il mio cogliere l’attimo vincente della pallina… di me stessa.
Sento e so anche, adesso, che il gioco, le palline, già prima di essere toccabili e visibili qui, sulla sabbia, già erano in me, costantemente sono in me, perché io, là tra le stelle sto vivendo la mia danza!
Tutti questi miei vissuti sono belli, capisco che è importante che io sappia distinguerli e che mi salvaguardi la capacità di essere in ciascuno di loro, sapendo che niente e nessuno, se non me stessa, può decidere di continuare o lasciare il gioco. Sapendo che non c’è motivo al mondo perché io lasci il gioco fintanto che uno nuovo e più entusiasmante non nascerà da dentro di me, dal riconnettermi col mio mondo tra le stelle dove, sempre gioco.
Capisco anche che, proprio nel momento in cui sono totalmente persa, avvinta dal mio gioco, il momento in cui le palline luminosamente mi danzano davanti, io là, in quell’attimo scoprirò un altro gioco.

Ritrovo la mia danza, la vedo là, sul percorso e sono contenta che le palline dorate, che mi sono portata dal mio cielo, siano qui a mettere davanti ai miei occhi questa sintonia di velocità, di colori e di forza della vita. È la stessa danza che io sto continuando lassù tra le stelle, eccola, l’ho creata qui, sulla sabbia, ho trasferito non solo le palline colorate, ma il movimento, il gusto del gioco, dell’abbraccio, del volteggio.
Ciò che mi dà più entusiasmo è il fatto che loro interagiscono con me, mi ascoltano, mi parlano e comprendono e sono contente di farmi felice, brillano al brillare dei miei occhi.
Oh, che gioia!

Cosa è accaduto lassù mentre stavo volteggiando? Ah, si! Ricordo, quegli occhi!
Talmente ero persa nel mio gioco della pista, con i miei colori rotolanti, che ho dimenticato perché sono scesa quaggiù.
Corro!
Sicuramente mi sta aspettando!
Ma… quaggiù… dove lo trovo?
Da lassù a quaggiù… come lo riconosco?

IMPOTENZA… così vorrei sentirmi, senza mezzi, senza coordinate e capacità di trovare e riconoscere quegli occhi.
Oh… queste palline mi parlano, sussurrano, mi chiamano! Vogliono essere messe di nuovo in circolo, ricominciare la corsa pazza giù per la discesa, basta star qui a preoccuparmi, a chiacchierare!
Che bel gioco ho creato!
Ma, aspetta, ho saputo costruire un bel gioco, armonico, dinamico, sai… è la mia danza!
Qui sulla terra c’è la stessa danza che io sto ballando nel cielo.

Continuo a giocare, a lanciare le palline nella danza.
Qui mi hanno toccato i suoi occhi, qui i miei occhi hanno toccato i suoi, e ci siamo detti tutto.
Qui lo incontro, lo sento e lo riconosco, mentre gioco e danzo.

POTENZA: LE MODALITÀ IN CUI L’ENERGIA SI FA ESISTENZA, TRAFFICATE, SPERIMENTATE, VISSUTE.
SENTITE TRA LE MANI LE GRANDI FORZE E, USATI IL TEMPO LO SPAZIO E LA FREQUENZA, FINO A RENDERSI CONTO CHE, GIOCHIAMO CON IL MONDO PERCHÉ LO TRAIAMO DA NOI STESSI. LE PERSONE, LE COSE E GLI EVENTI CI RISPONDONO E SI DANNO A NOI.