domenica 30 agosto 2009

GLI ARCHETIPI



Come fa ciò che desidero e credo a diventare consistenza, realtà?
A diventare Creazione? Energia creata che riempie il mio abisso?
“Ad immagine della Trinità tutta la creazione respira andando dall’uno al molteplice e dal molteplice all’uno. E la creazione stessa… è espirazione divina, di cui il sabbat è l’apnea prima che, con una inspirazione, la creazione si compia” .
So che se respiro-sento-penso e che se penso-sento-respiro, già sono questo, già ho tutto.
Aspetto ora che qualcosa mi conduca verso il prossimo gesto concreto da fare.
Cosa avere tra le mani di vero, toccabile?
L’adesso, così com’è, è la pienezza.
È questo, ciò che ora sono e vivo che, in Ciò che sono ai livelli dell’anima e della partecipazione al Tutto, sto creando ora per me.

Dallo psicologico… all’ontologico: dove non c’è altro, è perché ad altri livelli di coscienza voglio vivermi così. Sono io come en, en sof, en sof or , che si vuole vivere così, ossia l’Anima che sono.
Sì, sono questo vuoto, questo ho creato per me.
“Adesso Tocco il mio abisso e… immergo le mani in un pieno di possibilità e risorse, bellezza e magnificenza… e nessuno mi toglierà dalle mie mani”. Avvertire la Forza, sentire l’energia. Toccare quello che si ha davanti e io, davanti, ho me stessa che ora vuole, sente così e così si è organizzata per vivere ed integrare una Parte di sé. Creare è dono totale di sé al proprio sentire e credere (seme di me stessa indivisa) e alla sposa, cui ci si pone come appartenente (me stessa).

Adesso anche il seme nuovo deve scaturire da me e l’inizio del suo germogliare sotto terra sarà Suono, una vibrazione nuova emergerà.
Ogni attimo dell’adesso in cui sento, penso e desidero qualcuno o qualcosa, penso al seme di me e invio il sentire, quest’energia che sento, per nutrire il seme, per farlo germogliare.
In questa dinamica trova un senso anche il pensiero ricorrente che diventa attivatore di un’energia, e sarà pensiero ricorrente fintanto che serve attivare quest’energia per inviarla al seme.
Ogni cosa ha il suo senso.

Andare alle leggi ontologiche che sono in tutta la creazione, dalle sue forme più indefinite e più vicine al Nulla che le origina, alle forme più consistenti.
Non c’è altro, per noi creature, fuori di questo.
Le leggi ontologiche sono gli archetipi , i semi nuovi che sono in noi, emergono in ogni parte della creazione, a livello della parte en, en sof, en sof or e in malkut, nel nostro essere Cielo e nel nostro essere Terra/Carne, che è tutt’uno con il Cielo proprio nel suo essere pienamente Carne .
Lasciamo emergere ed accogliamo queste chiavi, questi nuovi semi, affinché ogni essere giunga alla consapevolezza. In termini più semplici, se arrivo all’origine dei miei pensieri e delle mie emozioni posso scioglierli e liberare le energie da utilizzare in pensieri nuovi e più gioiosi.
Le Leggi ontologiche, o chiavi della Vita o Archetipi Viventi sono in tutto l’Universo, sono in noi, essi sono le espressioni, i Nomi, le modalità di esistenza che l’Essere, la Vita, Dio, s’è dato per manifestare se stesso.
Ogni realtà, cosa, essere, uomo è seme ontologico, è chiave, è archetipo perché è manifestazione dell’Essere.

L’uomo, nel suo percorso di conoscenza e consapevolezza ha colto le essenze di questo manifestarsi e le ha fissate in oggetti, segni, simboli conduttori di significato della realtà manifestata. Dagli oggetti, ai segni, le lettere e gli alfabeti, archetipi: le chiavi dell’universo.
Entrare nell’archetipo è liberare l’energia che fa essere l’idea, sperimentarla, comprenderla, integrarla. Conoscere gli archetipi ci conduce alle origini della storia della nostra stessa esistenza. Ecco perché attraverso i segni ritroviamo noi stessi. Come ci siamo strutturati per manifestarci.
Il corpo stesso è un archetipo, così ogni cosa che incontriamo, che emerge nella mente, nella memoria, ogni segno che incontriamo, ogni evento.
Gli archetipi diventano indizi, porte, passaggi per arrivare al senso delle cose e di noi stessi. Gli archetipi ci conducono alle origini dei nostri pensieri, delle nostre decisioni, di ciò che abbiamo deciso di essere, incarnare, sperimentare, ecco perché gli archetipi ci permettono di creare realtà.

Attraverso loro possiamo partire, ogni giorno, al “Principio”, “be-rē-’šīt-” di noi stessi con pensieri e progetti nuovi rimettendoci in gioco. Quando si è fatto il percorso con gli archetipi si comprende che Dio è una dinamica, una Forza, un modo di essere, non un’identità e lo si riconosce nel nostro essere. Si comprende che niente è reale, tutto è illusione, “creazione”, che fuori di noi stessi non c’è persona, oggetto, situazione. Tutto si sospende là fuori.
Si comincia a dire: “Lui non c’é. Lei non c’è. Questa situazione non c’è”. Perché, di fatto, nulla c’è, se io non proietto fuori i miei pensieri.
Allora, adesso, per un po’ non proietto, cioè non penso.

Ecco la solitudine dell’Alchimista: purezza ed essenzialità.
Esisto, perché respiro e tutto va bene.
Oltre, non so… può non esserci niente, il Nulla, se io non decido di esplicitare qualcosa di me.
A questo punto sto, pura e sola, perché ora è un istante di purificazione, lascio andare tutte le creazioni precedenti e ancora non mi sento pronta ad un pensiero creatore tutto nuovo.
Perché lo voglio dal cuore, il più possibile dal cuore il prossimo pensiero, perciò aspetto che emerga, quando il cuore vuole.
L’Alchimista…

Gli Archetipi cui si fa riferimento sono innanzitutto le lettere dell’alfabeto ebraico, in questo contesto le più efficaci per attivare i canali in cui la Forza può passare e noi la possiamo avvertire perché nell’ebraismo la lettera è conduttrice di sostanza, di energia. Ogni lettera ha un valore numerico, una vibrazione, un suono e un colore, un significato ontologico.
Forse, leggere gli eventi attraverso la cultura ebraica, usare la lingua ebraica per interpretare gli eventi, usare la simbologia ebraica per interpretare la lingua e cercare la comprensione degli archetipi, ha il rischio di stare all’interno di un quadro interpretativo preciso e definito (quello del mentale, della proiezione ebraica sul reale, quello di “Jahvè”). Significa, quindi, usare delle chiavi strutturate dal pensiero, dalla lingua e dal pensiero per interpretare la stessa lingua e pensiero: non è totalmente distinto dal campo di ricerca, ne appartiene, e questo va considerato. È come fare critica letteraria, filosofica, storica, con le stesse chiavi che hanno costruito quel pezzo di storia del pensiero o di storia. Non va rifiutato, importante è sapere che si sta facendo critica con le stesse chiavi, dall’interno del contesto in cui si è costruito.
Ogni cosa, per il fatto che esiste, è contestualizzata.
Ma l’origine di questi semi è oltre ogni contestualizzazione, dice Elémire Zolla: “Gli archetipi sono i Viventi vivificanti, più vivi degli uomini vivificati. Appartengono alla vita vivente e non, come questi ultimi, alla vita vissuta. La ragione da sola non li afferra, perché coglie soltanto i significati, non la significatività. Soltanto superando l’isolamento della ragione, la più fine sensitività e la più fulminea capacità di calcolo mentale, si può apprendere un archetipo. Non è un’esperienza da affrontare alla leggera. Spezza il cuore di pietra, scioglie il cuore di ghiaccio, calpesta il cuore di carne e fa ammutolire la “garrula mente” come la chiamava Cusano” .




OGNI PARTE DI ME PUÒ ESSERE INTEGRATA SOLO PERCHÉ SPERIMENTATA, SOLO CON IL CATALIZZATORE CHE ATTIVA QUESTA MIA PARTE.

Quando l’essere sta andando verso una nuova Parte di sé che vuole emergere (le Volontà) crea dentro di sé il catalizzatore che si connetterà con quella Parte di sé.
Sentire la Forza e “stare” nella Forza è: “da questo agisco” , e contiene: “credo in me in ciò che sono, comunque sono”, questo atteggiamento fa incontrare in se stessi la Parte di sé che vuole esplicitarsi, questa è Energia e sa andare a crearsi la situazione ottimale fuori di sé.

Chi va a crearsi il catalizzatore e a costruirsi la situazione catalizzante non è il nostro io razionale, è il nostro femminile.
Il femminile in noi, l’inconscio, è ricco di tutte le potenzialità necessarie per costruire la situazione catalizzante. Il maschile in noi è la consapevolezza che una nuova Volontà sta emergendo. Il maschile, nel momento che, consapevolmente o meno, lascia spazio alla parte femminile, permette all’essere di mettere in circolazione energie nuove e possibili nuovi perché le situazioni nuove diventino reali.
Possiamo aumentare la consapevolezza di questa dinamica e così usarla meglio.
La situazione nuova che si crea non sempre ci sembra ottimale, perché noi la accostiamo e la sentiamo mentre siamo ancora dentro alle parti di noi oscure, malate; dentro ai nostri nodi, ma l’inconscio, il femminile, sa, egli sa di essersi creato ciò che effettivamente gli serve.
Ciò che gli serve è nella situazione in cui ci troviamo inseriti e che abbiamo davanti, questa è piena di quel “pane quotidiano” che nutre il nostro oggi. Questa, compiuta, dal di dentro, ci traghetterà verso Altro.

Ecco perché onorare il Presente.

Riconoscerlo come ciò che la Vita, che sa, oggi mi mette davanti.
Quando, finalmente, noi riusciamo a lasciarci andare, allora ci nutriamo, guariamo, cresciamo… a volte resistiamo. La resistenza sono quelle Parti di noi che, proprio in questa situazione, possono guarire, chiedono di guarire, ossia di esistere pienamente con la loro carica energetica. Sta nelle Parti di noi cui resistiamo di più l’Energia più forte, in quello che della situazione più non mi piace, in ciò che vorrei evitare. Perché ogni Parte di noi, anche quelle che pensiamo malate, soprattutto quelle che pensiamo malate, sbagliate, vanno bene così come sono, vanno solo riconosciute, lasciate essere ed agire, allora, l’energia espressa ci permetterà il benessere. Sono le parti che pensiamo sbagliate, malate, che mandano segnali, che danno problemi, sono le più vitali, conducono più forza, spingono, ci conducono verso situazioni nuove.




LA REALTÀ NUOVA È SEMPRE CONCRETA

Se siamo in un percorso di guarigione siamo in un sistema olistico. Siamo sempre olisticamente fondati. Perché una Parte di noi sia catalizzata e si attivi per guarire, non basta un catalizzatore mentale, non basta il pensiero catalizzante, è necessaria la situazione concreta o la persona concreta, fisicamente presente alla situazione, che catalizzi le Parti di noi all’interno del sistema. Perché il sentire, le emozioni sono quelle che ci conducono dentro noi stessi.
Questo, a volte, è difficile da riconoscere perché i nostri quadri concettuali sono radicati al contesto culturale in cui siamo inserirti e questi, spesso, non sono adeguati alle nostre esigenze più profonde così, tra le nostre spinte vitali e il nostro mentale insorge il conflitto. Qui albergano le depressioni, quando ci neghiamo le esperienze, i tentativi, il viverci le situazioni e così blocchiamo le nostre forze più profonde e sane.

Sta a noi penetrare il nostro io (il super-io fatto di concetti, regole, ideali) e la nostra storia, con le energie del nostro esigere più vitale, per fare quel sacro detto prima.
Imparare a fare, sempre più, il centro su se stessi, fare il sacro, così che i conflitti e i problemi si spostino da dentro a fuori di noi e noi cresciamo come personalità facendo crescere così anche il nostro star bene al mondo, il nostro benessere.
Perché ciò che adesso mi interpella e mi si impone davanti; ciò che adesso attiva il mio desiderio e che sento come fonte di benessere e di gioia, grazie al catalizzatore che il mio inconscio s’è creato, è ciò che adesso a me serve per andare a vivermi questa Parte di me che vuole manifestarsi, così che, nel suo esistere, io mi conosco, mi amo e sto bene.
La cosa che voglio, che desidero vivermi non è nel catalizzatore, né è il catalizzatore, essa è in me, è questa Parte di me che riconosco attiva, presente.
Il catalizzatore: situazione o persona è ciò che permette che questa parte di me s’illumini, sia illuminata e così io la veda, la percepisca. Io sento, di un sentire che mi conduce l’appartenenza, l’esclusività che, questa Parte di me, sono io. In questo insight mi abbraccio, mi accolgo, finalmente accogliendo di me questo che vedo e decidendo di dargli ciò che gli serve per essere pienamente.

Forse solo qui, all’interno della singola persona, trovano senso l’appartenenza e l’esclusività, come modalità dell’amarsi incondizionatamente; modalità che, se alimentate nelle relazioni con altre esistenze, rischiano di creare dipendenze e ricatti. Dio è Dio, perché innanzitutto ama se stesso, e non abdica da questa passione per se stesso.
Questo siamo.
Perché così la Vita vuole esprimersi in se stessa, in me, in ogni esistenza.
Ciò che esiste è proprio ciò che la VITA ha voluto essere. È il nostro giudizio che resiste alla VITA così com’è e le situazioni dolorose dell’esistenza sono tutto il bagaglio storico del nostro giudicare e resistere.
Qui sta la concretezza della vita, il credo dell’Alchimista.
Egli sa che c’è una e una sola realtà e che, per viverla pienamente bisogna penetrarla, da dentro se stessi.

La cascata

Per ciascuna di queste gocce
questa
è la grande occasione della vita.
E tutto si brucia in continui attimi
Di gocce che si danno…
… e noi
contempliamo la cascata.


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